La Cop30 di Belém al via tra ritardi e problemi ormai ineludibili

Clima, Italia in ritardo: serve una visione che unisca sviluppo, lavoro e giustizia. In Italia la discussione sul clima resta schiacciata tra negazionismo, disinformazione e una preoccupazione diffusa ma superficiale. Il Green Deal viene spesso liquidato come una «follia» e, senza dati a sostegno, accusato di danneggiare lavoro e industria. Anche l’opposizione evita di porre davvero al centro della sua proposta politiche ecologiste capaci di unire sviluppo, occupazione e giustizia sociale. Eppure molte imprese, città, organizzazioni e amministrazioni locali stanno già percorrendo questa strada, grazie soprattutto a norme e risorse europee.
I dati parlano chiaro. Nei primi cinque mesi del 2025 si sono registrati circa 110 eventi meteorologici estremi, il 31% in più rispetto al 2024. L’Ufficio parlamentare di bilancio stima che, senza un cambio di rotta, entro il 2050 la crisi climatica costerà oltre il 5% del Pil all’anno. Mentre la politica italiana resta eco-indifferente, quando non attivamente eco-scettica, dieci anni dopo l’Accordo di Parigi e alla vigilia di Cop30, i progressi ci sono: la traiettoria del riscaldamento globale è scesa da +4°C a circa +2,3/2,6 °C. Rinnovabili, efficienza energetica, batterie e accumuli hanno ridotto emissioni e costi e accelerato la transizione. Anni di negoziati globali hanno definito le cose da fare e secondo quali regole: ora bisogna farlo. Siamo in ritardo, ma non possiamo permetterci un pessimismo controproducente.
La Cop30 si apre a Belém con una limitata partecipazione di leader e una grande preoccupazione, espressa chiaramente dal Segretario generale dell’Onu Guterres che ha parlato di rischio di fallimento globale e morale se non viene confermato con i fatti l’impegno globale a limitare il riscaldamento del pianeta a 1,5°. In questo quadro, la posizione italiana non appare particolarmente positiva.
Il ministro Tajani all’evento dei leader che tradizionalmente precede la Cop ha esplicitamente puntato su gas, biocombustibili e nucleare; ha promosso con Giappone, India e Brasile una dichiarazione per moltiplicare per quattro la produzione di carburanti «sostenibili» - idrogeno, biogas, biocarburanti e carburanti di sintesi - una scelta che entra in competizione con la produzione alimentare, aumenta la pressione sulle terre, produce comunque emissioni e rallenta l’uscita dalla dipendenza dai fossili; mentre a Bruxelles il ministro Giorgetti si oppone alla direttiva sulla tassazione dell’energia, ferma da tre anni, che eliminerebbe esenzioni per il gas e il ministro Pichetto Fratin ha contribuito a indebolire i target di riduzione delle emissioni al 2040 e il contributo europeo alla Cop30.
🌍 #COP30 in Brazil: Ambition → Action NOW!
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E invece, una proposta politica ecologista può essere vincente. A New York, il deputato Zohran Mamdani ha vinto puntando sulla mobilitazione delle persone e una proposta di città accessibile e sostenibile. Ha proposto un piano di edilizia popolare, 500 scuole con pannelli solari, 50 rifugi climatici, autobus gratuiti e 15.000 nuovi posti di lavoro verdi, costruendo la campagna dal basso con 90.000 volontari e oltre 1,6 milioni di contatti porta a porta. Nel New Jersey, la democratica «moderata» Mikie Sherrill ha ribaltato la propaganda anti-eolica legando energia pulita, occupazione e stabilità dei prezzi. In Virginia, Abigail Spanberger ha sconfitto la destra anti-ambiente con proposte su rinnovabili e agricoltura sostenibile. In Irlanda, la nuova presidente Catherine Connolly ha definito la crisi climatica «la sfida morale del nostro tempo», unendo giustizia sociale e ambientale.
Da queste esperienze emerge una lezione: la politica climatica non è un lusso, ma vita quotidiana - scuola, casa, lavoro, cibo, salute. «Clima e qualità della vita non sono due questioni diverse: sono la stessa cosa», ricorda Mamdani. Per l’Italia la lezione è chiara: smettere di considerare la transizione ecologica un sacrificio o un tema secondario. Serve un’azione politica più diretta e concreta, capace di valorizzare le esperienze che già funzionano e di ribaltare con i fatti la disinformazione imperante. La transizione può essere un motore di consenso, sviluppo e coesione, uno strumento di cambiamento positivo e popolare: con concretezza, rendendo di nuovo entusiasmante la partecipazione e puntando anche su un po’ di ottimismo in questi tempi bui.
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