Charlie Hebdo, dopo 10 anni l’Isis è finito ma non il jihadismo

Il terrorismo islamico dalla fatwa di Khomeini contro Rushdie all’assalto al settimanale satirico
Un tributo a 10 anni dalla strage di Charlie Hebdo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Un tributo a 10 anni dalla strage di Charlie Hebdo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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All’inizio fu Ruhollah Khomeini che nel febbraio del 1989 emise una fatwa, un parere giuridico, con la quale condannava a morte lo scrittore indiano Salman Rushdie, reo di essere l’autore del romanzo i «Versetti satanici», ispirato alla vita del Profeta Mohammad, e dall’Ayatollah considerato in maniera generica e superficiale, un libro contro l’Islam.

La condanna sopravvisse alla scomparsa di Khomeini, avvenuta qualche mese dopo, e la longa manus di una cieca, vile e stolta sedicente giustizia arrivò a 33 anni di distanza da quel proclama, quando Rushdie subì un gravissimo attentato a New York che lo rese parzialmente cieco. L’attentatore, nato una decina d’anni dopo il verdetto di Khomeini, dichiarò di aver letto solo qualche riga del libro e di aver saputo delle critiche all’Islam da alcuni video su YouTube.

Scia di sangue

Fu poi la volta dell’omicidio del regista olandese Theo Van Gogh per il suo cortometraggio «Submission», con il quale portava all’attenzione del pubblico la violenza contro le donne negli Stati musulmani. Il suo crudele assassinio nel novembre 2004 fu dovuto al fatto che, nell’ottica perversa degli integralisti, il sostantivo «sottomissione» era sinonimo di Islam, quale resa totale alla parola di Allah con valenza quindi positiva, ma nelle drammatiche immagini del film compariva il corpo nudo della donna, vittima della violenza del marito, sul quale, tra i segni della frusta, erano incisi alcuni versetti del Corano. Un caso troppo presto dimenticato.

Poco tempo dopo, un altro evento scosse l’opinione pubblica europea. La pubblicazione nel settembre del 2005 di una caricatura apparsa sul quotidiano danese Jyllands-Posten, ritraente il Profeta con un turbante nero a forma di bomba, per sottolineare la violenza perpetrata da una certa interpretazione dell’Islam, aveva scatenato un’ondata di proteste e violenze nel mondo musulmano.

  • La commemorazione per i dieci anni dall'attentato al Charlie Hebdo
    La commemorazione per i dieci anni dall'attentato al Charlie Hebdo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
  • La commemorazione per i dieci anni dall'attentato al Charlie Hebdo
    La commemorazione per i dieci anni dall'attentato al Charlie Hebdo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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    La commemorazione per i dieci anni dall'attentato al Charlie Hebdo - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

Quest’ultimo episodio può essere considerato il precursore dell’attentato del 7 gennaio 2015, quando il settimanale satirico francese Charlie Hebdo aveva pubblicato delle vignette ritraenti Maometto. Duplice quindi la colpa anche in quel caso: l’aver ritratto l’immagine del Profeta, ma soprattutto l’averlo intenzionalmente deriso.

Seguirà una lunga sequela di attentati nei quali, la blasfemia sarà portata come giustificazione e legittimazione, come nel caso dell’assassinio del giovane docente francese, Samuel Paty, decapitato da un integralista ceceno dopo che un militante islamista aveva lanciato contro di lui una campagna d’odio sui social. Una scia di sangue che ha avuto come apice i drammatici eventi di Charlie Hebdo, dei quali ricorre il decimo anniversario, ma che nel corso di questi anni, strutturalmente poco è cambiato, se non l’approccio politico tenuto verso gli attentati.

Stessa ideologia

Sul piano delle organizzazioni terroristiche la sconfitta militare dello Stato Islamico, che faceva della propaganda una delle sue armi più efficaci sia per il reclutamento che per l’esecuzione di atti terroristici ha avuto scarsi impatti nel fermare le azioni violente degli integralisti, proprio perché l’ideologia è sopravvissuta e ancora oggi, attraverso una radicalizzazione velocissima che si compie in Internet, continua ad ammaliare decine di personalità fragili.

Da forme più strutturate di attentati che richiedevano una pianificazione logistica e investimenti importanti in termini di denaro e portati avanti da gruppi organizzati, nel corso di quest’ultimo decennio si è passati ad attacchi condotti da attori solitari, anche con scarsissime disponibilità economiche e con metodi meno complessi ma altrettanto letali, come l’uso di veicoli per investire la folla o attacchi con coltelli, come negli ultimi episodi.

Certamente l’attacco di Charlie Hebdo e poi quello del Bataclan hanno portato le agenzie di sicurezza a trovare nuove strategie antiterrorismo e a iniziare anche una inedita ma fruttuosa collaborazione con il mondo civile, per mettere a punto politiche di prevenzione e contrasto alla radicalizzazione. In Italia l’adozione della misura dell’espulsione amministrativa per ragioni di terrorismo ha indubbiamente rappresentato uno tra gli strumenti più efficaci per la prevenzione. Tuttavia la minaccia rimane ancora altissima, soprattutto se si considera il fatto che dal 2017, quando Isis perse la quasi totalità dei suoi territori, in Europa si sono avuti 131 attentati di matrice islamista.

Percezione ridotta

Ciò che è purtroppo cambiata è la percezione della minaccia e della considerazione della pericolosità dei radicalizzati. L’attentatore è spesso derubricato come una persona con problemi di carattere psicologico, il che porta non solo a una sottovalutazione dell’atto, così come dell’attore, ma sovente si innesca una sorta di meccanismo inconscio che induce quasi a giustificare l’azione, come quella di uno squilibrato, accantonando completamente la matrice politico-ideologica dell’atto.

C’è altresì una sottovalutazione importante e altrettanto perniciosa della classe politica italiana verso queste tematiche. Classe politica che nell’arco di quasi dieci anni, due proposte di legge e tre legislature non è stata in grado di varare una legge sulla prevenzione della radicalizzazione. La minaccia terroristica islamica è diventata più frammentata e decentralizzata, ma continua a rappresentare un pericolo significativo per la sicurezza e ne sono ben consce le nostre forze dell’ordine che continuano ad operare bene, grazie alle esperienze acquisite nel corso degli anni. Ma le strategie operative necessitano di politiche adeguate e sempre aggiornate.

Nel mentre Charlie Hebdo per esorcizzare il macabro anniversario ha provocatoriamente lanciato un concorso pubblico internazionale sul tema «Ridere di Dio», che diventa anche Ridere da Dio. Un tentativo per riaffermare la libertà di parola e di satira. Quasi a dire ai terroristi che perpetrano la loro idea di morte: «una risata vi seppellirà!».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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