La Germania verso la grande coalizione, ma la strada è in salita

Presentato il programma della «Grosse Koalition» del nuovo governo tedesco. Il cancelliere Merz si è detto sicuro che sarà la base per rilanciare l’economia tedesca. Necessaria ora l’approvazione dei partiti
La grande coalizione del nuovo governo tedesco - © www.giornaledibrescia.it
La grande coalizione del nuovo governo tedesco - © www.giornaledibrescia.it
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Sfogliando l’opuscolo di 144 pagine che reca il titolo «Responsabilità per la Germania» e che costituisce il «contratto di coalizione» per il nuovo governo formato da Cdu, Csu e Spd, si ha la sensazione di leggere un elenco di ambiziose soluzioni per i gravi problemi che affliggono il paese, ma anche di ricette assai vaghe e incerte, la cui applicazione pratica è tutta da verificare.

Friedrich Merz, cancelliere in pectore, si è detto sicuro che quel programma sarà la base per rilanciare l’economia e la competitività tedesca, così da riconsegnare alla Germania la leadership, al momento assai sbiadita, sul continente europeo.

«La Germania è tornata, saremo un partner molto forte dentro l’Ue e faremo avanzare l’Europa», ha dichiarato testualmente Merz nella conferenza stampa dello scorso 10 aprile. Per il momento va registrato un primo successo: le consultazioni si sono concluse nel giro di sei settimane, un tempo ridotto rispetto a precedenti trattative di tal genere, ed è probabile che già a inizio maggio il nuovo governo riceva la fiducia dal parlamento ed entri in funzione.

Tuttavia, la strada non è affatto spianata, anzi si presenta irta di insidie. Intanto è necessario che i partiti della coalizione approvino il contratto di coalizione al loro interno secondo le proprie specifiche procedure: la Cdu lo farà in un congresso straordinario il prossimo 28 aprile, mentre la Spd ricorrerà ad un referendum tra gli iscritti.

Pur con qualche malumore è verosimile che alla fine verrà dato il via libera da tutte le parti, non foss’altro perché nell’attuale quadro politico non esistono alternative praticabili alla «Grosse Koalition», che nasce con la consapevolezza di non essere un matrimonio d’amore, bensì di puro interesse, frutto di un’intesa obbligata più che di una vera consonanza politica.

Anche per la distribuzione dei ministeri non sarà difficile trovare un accordo. Stando alle indiscrezioni che trapelano la Spd sarebbe disponibile a cedere la poltrona degli Esteri (che di prassi va ad un esponente del secondo partito) in cambio di quelle delle Finanze (per Lars Klingbeil) e della Difesa (per Boris Pistorius). La Csu avrà Interni e Agricoltura, mentre la Cdu, oltre al cancelliere, avrà Economia, Esteri, Istruzione e Trasporti.

Ciò che lascia perplessi nel contratto è che in molti punti gli obiettivi e le strategie sono indicati in termini molto generici, rimandando l’applicazione di misure concrete a data da destinarsi nel corso della legislatura, con la clausola della «riserva di finanziamento», vale a dire solo se il bilancio lo consentirà.

Saranno finanziabili tutte le promesse? Si va dal taglio alle imposte per i redditi medio-bassi alla riduzione delle tasse sulle imprese, dalla sburocratizzazione della pubblica amministrazione al sostegno per l’auto elettrica. Un punto saliente e assai discusso del programma è lo stanziamento di un fondo straordinario di 400 miliardi per la spesa militare, ovvero per investimenti destinati alle forze armate.

Il reddito di cittadinanza (Bürgergeld) sarà radicalmente ridimensionato, mentre l’aumento del salario minimo a 15 euro, fortemente voluto dalla Spd, resta in stand by in attesa che la situazione economica migliori.

Una svolta importante riguarda la politica migratoria. Sono state messe nero su bianco misure alquanto drastiche: chiusura dei confini, forte limitazione alle richieste d’asilo, blocco della naturalizzazione accelerata, sospensione dei ricongiungimenti famigliari, incremento dei rimpatri per gli irregolari.

Qui Merz gioca una scommessa molto rischiosa: puntare su una linea intransigente e «securitaria» con l’auspicio di togliere il terreno sotto i piedi alla destra estrema. Ma i sondaggi al momento dicono che Alternative für Deutschland continua a guadagnare punti anche dopo le elezioni di febbraio arrivando al 24-25%, ormai alla pari (se non addirittura davanti) del partito dei cristiano-democratici.

E nella pubblica opinione prevale lo scetticismo: solo il 30% dei tedeschi crede che le promesse scritte nel contratto di coalizione saranno mantenute. Molti non perdonano a Merz la svolta epocale sulla Schuldenbremse, il «freno del debito», un dogma di fede incrollabile, almeno fino allo scorso febbraio, per l’establishment economico-finanziario tedesco.

E molti lo accusano di avere sottoscritto un programma con troppe reticenze e incognite, col rischio concreto di fare la fine del precedente esecutivo «semaforo», quello guidato da Olaf Scholz, vittima di interminabili discussioni e logoranti conflitti al suo interno.

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