Automotive, bene la mossa europea ma la Cina resta competitor critico

La «neutralità tecnologica» è una buona notizia, utile a non auto-sabotarsi, ma non basta a fermare la sovracapacità cinese
Il mercato dell'auto vive una fase di transizione - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il mercato dell'auto vive una fase di transizione - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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L’Europa si avvia a riconsiderare virtuosamente il potenziale industriale dell’auto europea e dunque della manifattura continentale e come ripetiamo da mesi da queste pagine, accoppiando neutralità tecnologica e flessibilità sui tempi di uscita dai motori a combustione, valorizzando la transizione dell’ibrido anche oltre il 2035. Molta strada resta ancora da fare ma è un avvio nella direzione strategica giusta, «comprando tempo prezioso» come dicono la Germania (il «grande malato» Ue), Acea e pure Confindustria (con qualche riserva).

Si estende la categoria di «ibrido» nel senso attraverso la categoria strategica di «neutralità tecnologica» si vuole aprire a tutti i sistemi e bio-carburanti alternativi (al 3%) purché abbattano le emissioni di CO2 in modo robusto, con obiettivi di riduzione al 90% e non al 100% e con supporto di acciaio verde europeo (7%). Ridotte pure le emissioni dei furgoni al 40% entro 2030. L’esclusività dell’elettrico è (quasi) abbattuta e potrà essere leva di ripresa per l’auto europea che con un -10% consentirà un +35/40% di non elettrico (combustione pulita e ibrido plug-in) potendo supportare anche le piccole auto e città che respirano. Basterà? Forse no, ma vediamo i benefici per Ue (Germania e Italia in primis, e Brescia con quest’ultima).

Avremo la salvaguardia del know-how su (a) motori termici avanzati/ibridi e sui bio-carburanti e (b) filiere meccaniche (componentistica, Pmi e territori di vocazione), ma pure (c) più tempo per ammortizzare investimenti fatti, (d) riduzione del rischio di deindustrializzazione rapida per una governance condivisa di politica industriale, (e) maggiore flessibilità industriale in una fase di transizione caotica (visti i dazi e incertezze globali trumpiste e non solo). Tutto ciò aiuta l’offerta europea, ma non risolve il problema della domanda e della concorrenza sui prezzi.

Perché un nodo fondamentale rimane quello della sovracapacità strutturale nei veicoli elettrici (Ev) della Cina che non solo è competitiva, ma con una eccedenza che deve «scaricare» con effetti sui prezzi globali. Infatti, la Cina segnala ancora una scarsa domanda interna nonostante i supporti statali massicci (sussidi diretti, credito agevolato, controllo delle materie prime). Con l’effetto di costi medi del 20-30% inferiori a quelli europei avendo consolidato un dominio industriale su batterie, chimica, catena del valore Ev.

Bersaglio naturale di tale sovracapacità è l’Europa visti i dazi da Usa verso Cina (con Ira -Inflation Reduction Act e forti barriere non tariffarie). Mentre l’Europa ha un grande mercato aperto (che dovrebbe far valere di più), dazi più bassi, regole Wto-friendly e consumatori sensibili al prezzo. L’effetto è di dumping competitivo (non sempre illegale) verso l’Ue e pressione enorme sugli Ev europei di fascia media.

Rivisto lo stop dal 2035 alla vendita di auto a benzina e Diesel - © www.giornaledibrescia.it
Rivisto lo stop dal 2035 alla vendita di auto a benzina e Diesel - © www.giornaledibrescia.it

Anche riaprendo a motori a combustione interna (Ice) efficienti, ibridi, e-fuel (leva geopolitica da manovrare con intelligenza), rimangono tre problemi strutturali sui quali agire: (i) segmento Ev entry–mid dove competono Byd, Saic, Chery, con prezzi troppo bassi per l’Europa e in un segmento di volume e non di nicchia; (ii) tempi industriali dei produttori Ue da ristrutturazione, con costi sociali altissimi e supply chain più lente o meno elastiche; (iii) domanda stagnante da «mercato maturo», freni da transizione verde e consumatori «attendisti». Germania e Italia, peraltro, si differenziano (e serve più complementarietà): da un lato ci sono i vantaggi tedeschi sul segmento premium e software in recupero e con piattaforme modulari, ma dall’altro la Germania appare esposta su Ev di massa (vedi difficoltà Vw) e rischi di compressione margini. L’Italia di contro è più vulnerabile con (1) filiera Ice molto ampia; (2) meno presidio su Ev. Dunque, la «neutralità tecnologica» è comunque vitale, ma serve una politica industriale forte perché non basta ritardare il declino.

Cosa fare oltre «neutralità tecnologica» per reggere l’urto cinese? Cinque leve simultanee: A - Dazi mirati e intelligenti (anti-dumping veri, non simbolici); B - Politica industriale europea (non nazionale); C - Integrazione verticale su batterie e chimica; D - Specializzazione europea (premium, veicoli commerciali, mobilità industriale); E – Tempo: transizione meno ideologica e più pragmatismo. Questa la «muraglia (anti) cinese» con la quale la Cina non può vincere ma ha i tempi dalla sua erodendo progressivamente il cuore del mercato europeo.

Quindi la «neutralità tecnologica» è una buona notizia, utile a non auto-sabotarsi, ma non basta a fermare la sovracapacità cinese, a difendere i segmenti di volume e rilanciare da sola l’automotive europeo. Serve con urgenza una vera politica industriale e commerciale mirata a rinforzare strutturalmente la manifattura europea (innovazione, energia, federalismo industriale continentale, AI, campioni e filiere intra-europee di Pmi) perché il tempo è breve (5-7 anni) e le lancette non si fermano. Serve più consapevolezza della nostra forza e nuovo multilateralismo (Mercosur compreso) e anche «volenterosi economico-industriali» non nazionalisti.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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