Auto e Green Deal, difficile compromesso con poche certezze

L’apertura ai veicoli «low-emission» a fianco degli «zero-emission» rappresenta, in linea di principio, una prova di buon senso basata sulla consapevolezza che l’ampia diversificazione dei bisogni dei clienti difficilmente può venire soddisfatta dalla sola trazione elettrica. Eccessiva, a nostro parere, la proposta della Commissione Ue di imporre quote di veicoli a zero (o a basse emissioni) ai gestori delle «flotte» che, a livello europeo, rappresentano circa il 60% delle immatricolazioni annuali. Inoltre, si prospettano un iter legislativo non breve e ulteriormente pregiudizievole della già indebolita competitività della nostra filiera automotive e per i biocarburanti «avanzati» un percorso insidioso di qualificazione a livello tecnico-normativo.
Abbiamo sempre sostenuto che il futuro ci avrebbe riservato una pluralità di trazioni, ciascuna con una propria missione distintiva, in funzione dell’attività svolta del cliente, nel rispetto dei vincoli ambientali decisi a livello europeo e, soprattutto per gli operatori professionali, del costo totale del veicolo nella sua vita utile, dall’acquisto alla rottamazione. Centrale nelle nostre proposte, a fianco dell’elettrico, dell’idrogeno e dei carburanti sintetici, il ricorso ai biocarburanti che consentono di rispettare, da subito, gli obiettivi di miglioramento climatico attesi, prendendo in considerazione anche i processi di produzione dei carburanti e dei veicoli nel loro intero ciclo di vita.
Questo convincimento pare essere ora presente nella bozza di proposta di regolamento della Commissione UE, in linea con le precedenti aperture della presidente Ursula von der Leyen e successivamente confermate dal Consiglio dei Ministri dell’Ambiente. Una leva di decarbonizzazione della mobilità, quella dei biocarburanti, elaborata in Lombardia e convintamente sostenuta dall’assessore allo Sviluppo economico Guido Guidesi, con evidenti vantaggi di costo e di immediatezza della disponibilità, anche grazie all’utilizzo delle infrastrutture esistenti e delle competenze professionali disponibili. La proposta lombarda è stata nel tempo condivisa e arricchita dal Governo italiano e da un numero crescente di Paesi, tra i quali, recentemente, la Germania.
Perdere altro tempo sarebbe grave e colpevole, in quanto a causa della situazione di incertezza che dura da anni, il mercato europeo è strutturalmente crollato di circa 3 milioni di veicoli rispetto ai livelli pre-Covid e gli investimenti in innovazione sono ora in stand-by. Nel frattempo l’elettrificazione delle linee di montaggio sta diventando irreversibile.
Le conseguenze economiche e sociali sono già sotto gli occhi di tutti. La crisi della filiera è ormai conclamata soprattutto in Germania, dove alcune decisioni da parte di Volkswagen – chiusura del sito produttivo di Dresda (500mila veicoli all’anno), avviamento della produzione della vettura elettrica di piccole dimensioni in Cina per il mercato locale e per l’export ed investimenti per 2,4 miliardi di euro nell’auto a guida autonoma – danno conferma di un disegno geopolitico che poneva e pone quel Paese al centro delle strategie del costruttore tedesco, malgrado la dirompente crescita delle vendite dei brand cinesi nel mercato domestico e nel mondo. La lodevole presa di posizione del cancelliere Merz a favore dei biocarburanti, sopra ricordata e di un prolungamento della vita dell’endotermico va letta anche come misura per attenuare le gravi ricadute economiche e sociali in atto.
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