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Il fiasco di Trump al comizio di Tulsa e lo zampino di TikTok

La prima uscita dopo il lockdown è stata un flop. Il presidente: «Meno test per non far crescere i casi di Covid-19»
  • Delusione per il comizio elettorale di Donald Trump a Tulsa
    Delusione per il comizio elettorale di Donald Trump a Tulsa
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    Delusione per il comizio elettorale di Donald Trump a Tulsa
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«Maga Less Mega», cioè Make America Great Again, il fortunato slogan elettorale del presidente, è meno grande. Persino il titolo di un sito conservatore come Drudgereport evidenzia con sarcasmo il flop di pubblico al comizio di Tulsa, dove Donald Trump sperava di tornare ai consueti bagni di folla straripante sfidando dopo oltre tre mesi una pandemia di coronavirus ancora allarmante.

Ora si tratta di capire se l’insuccesso, peraltro in Oklahoma, uno Stato saldamente repubblicano vinto a man bassa nel 2016 contro la Clinton (65% a 29%), è dovuto ai timori di scontri e di contagio. O è una conferma del crollo nei sondaggi di un tycoon sempre più divisivo e ripetitivo. Certo, ora è spuntata la regia occulta di migliaia di teenager di TikTok e di fan del K-pop che hanno almeno in parte sabotato l’evento prenotando i biglietti per poi non presentarsi.

Ciò non basta a spiegare un fiasco che ha fatto infuriare Trump, ossessionato dalla folla sin dal suo insediamento. Nei giorni scorsi il presidente aveva sbandierato che le richieste di partecipazione al comizio erano un milione. La sua campagna aspettava almeno 100 mila fan a Tulsa ma l’arena indoor da 19 mila posti è rimasta mezza vuota, (solo 6.200 partecipanti secondo la Cnn) . Poca la gente anche fuori, tanto che è stato cancellato il discorso di Trump previsto prima del comizio su un maxi palco allestito all’esterno. Lo staff del presidente ha scaricato la colpa sui media, rei di aver spaventato i suoi supporter con i rischi di contagio (che erano reali), e sui dimostranti, accusati (senza fondamento) di aver bloccato i fan.

E questi sono stati i primi due bersagli anche di Trump. «Ci sono persone molto cattive là fuori», ha arringato, definendo i suoi fan dei «guerrieri» per aver sfidato tutti questi pericoli. Quindi ha affrontato il capitolo coronavirus, usando una nuova definizione razzista, «Kung Flu», dopo averlo già chiamato il «virus cinese». «Ho salvato centinaia di vite umane», si è vantato, nonostante gli Usa abbiano il primato mondiale di morti (120 mila) e di casi (oltre due milioni). «Ora ho ordinato di rallentare i test perché un loro aumento comporta un incremento dei casi», ha spiegato. «Scherzava», si è affrettato a precisare un dirigente della Casa Bianca.

Ma Joe Biden l’ha definita «una delle sue ammissioni più accusatorie nella storia della presidenza», con lo scopo di «nascondere la sua atroce malagestione della peggior crisi sanitaria da decenni». Il principale bersaglio politico di Trump è stato proprio l’ex vice di Obama, il rivale in fuga nei sondaggi che a maggio lo ha superato per la prima volta anche nella raccolta fondi (80 milioni). «Il nostro Paese sarà distrutto se verrà eletto. È un burattino della Cina e della sinistra radicale», quella che «assedia la nazione» con le sue proteste, i suoi saccheggi, le sue violenze, l’attacco alla polizia e al secondo emendamento sulle armi, l’abbattimento delle statue confederate o di Cristoforo Colombo («Io, invece, vi dico che amo l’Italia e dico grazie al popolo italiano»).

 

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