Italia e Estero

Cosa è emerso dai verbali del Cts, desecretati ma non del tutto

Nei 95 documenti ora sul sito della Protezione Civile, cinque mesi e mezzo di dubbi e cambi di posizione, anche su scuole, tamponi e mascherine
Il premier Giuseppe Conte e Agostino Miozzo nella sede operativa della Protezione Civile - Foto Ansa/Giuseppe Lami
Il premier Giuseppe Conte e Agostino Miozzo nella sede operativa della Protezione Civile - Foto Ansa/Giuseppe Lami
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L'epidemia in Italia nei verbali del Comitato tecnico scientifico (Cts) dal 7 febbraio al 20 luglio: cinque mesi e mezzo in cui gli esperti hanno cambiato nel tempo posizione, ad esempio su mascherine e tamponi agli asintomatici, influenzando le decisioni del Governo. Un punto di osservazione privilegiato nei resoconti delle riunioni degli esperti, 95 documenti desecretati (pur con qualche omissis) e pubblicati sul sito della Protezione civile (li trovate qui), dopo alcuni stralci emersi a inizio agosto a seguito di un'iniziativa della Fondazione Einaudi.

Oltre alla mancata istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano nella Bergamasca, di cui già si sapeva, trapelano i dubbi del Cts sulla chiusura totale delle scuole e sulla durata della misura. Richiesto un parere dal ministro della Salute Roberto Speranza sull'opportunità di fermare gli istituti «di ogni ordine e grado sull'intero territorio nazionale», il Comitato il 4 marzo mette a verbale che «le scelte di chiusura dovrebbero essere proporzionali alla diffusione dell'infezione virale» e che «non esistono attualmente dati che indirizzino inconfutabilmente sull'utilità di chiusura delle scuole indipendentemente dalla situazione epidemiologica locale. Anzi, alcuni modelli predittivi indicano che la chiusura delle scuole potrebbe garantire una limitata riduzione nella diffusione dell'infezione virale. Vi è consenso tra gli addetti ai lavori che un'eventuale chiusura delle scuole è stimata essere efficace solo se di durata prolungata» e non solo per una settimana come prospettato.

Alla fine il governo chiude tutte le scuole e il 5 marzo, il giorno dopo, il verbale riporta che «il Cts ribadisce che il testo elaborato nella giornata di ieri, in riferimento alla sospensione delle attività didattiche, non è in alcun modo in disaccordo con la decisione di sospensione». Nelle settimane successive, in vista della Fase 2, la riapertura delle scuole veniva esclusa tassativamente.

Altro punto interessante e inedito: le mascherine sul lavoro. Il 13 marzo il Cts indica che «tutte le raccomandazioni scientifiche elaborate internazionalmente riportano chiaramente che non vi è evidenza per raccomandare indiscriminatamente ai lavoratori di indossare mascherine chirurgiche». Al contrario l'uso di questi dispositivi è «stringentemente raccomandato solo per gli operatori sanitari e per quei soggetti che abbiano sintomi respiratori». La priorità viene data al distanziamento. La politica del Cts sull'uso delle mascherine è poi andata mutando di pari passo con quella dell'Organizzazione mondiale della Sanità, fino a prevederne un uso molto più estensivo.

Un punto su cui poi le decisioni politiche sono risultate divergenti da quelle degli esperti è l'uso delle navi: il 12 marzo il Cts bocciò l'ipotesi di ospitare i pazienti Covid su navi da crociera ed espresse riserve anche sulla possibilità di utilizzare i grandi natanti per le persone in quarantena, come accade ora per i migranti. Una fase cruciale e controversa dell'epidemia resta quella delle origini, quando pareva almeno al grande pubblico che il coronavirus fosse solo un problema cinese. Nella riunione del 12 febbraio - a nove giorni dalla scoperta del presunto Paziente Uno nel Lodigiano - per il Cts «emerge la necessità di verificare con precisione i dati relativi alla disponibilità locale di posti letto per malattie infettive, rianimazione e altri dati relativi ad attrezzature, staff e quanto necessario ad elaborare ipotesi di scenari di evoluzione dell'epidemia». Nella riunione viene presentato uno studio di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento sugli scenari di diffusione del virus in Italia e sull'impatto sul servizio sanitario. Cifre che evidentemente preoccupavano gli esperti, se si insiste sulla necessità di mantenere «riservato» il piano nazionale anti-epidemia, come accade nell'incontro del 2 marzo.

C'è poi la questione della mancata zona rossa ad Alzano e Nembro, nella Bergamasca. Nella riunione del 26 febbraio il Comitato non riteneva ci fossero le condizioni per l'estensione delle restrizioni al movimento delle persone a nuove aree oltre ai 10 Comuni indicati dal Dpcm del 23 febbraio. Una settimana dopo, il 3 marzo, l'organismo ha analizzato i dati arrivati all'Iss su Alzano Lombardo e Nembro, sentendo anche l'assessore lombardo Giulio Gallera, che «confermano i dati relativi all'aumento nella regione e, in particolare, nei due comuni menzionati». Il Comitato propone quindi di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della zona rossa anche in questi due comuni «al fine di limitare la diffusione dell'infezione nelle aree contigue». Bisognerà però aspettare il 9 marzo, con l’intero territorio nazionale dichiarato zona rossa, per giungere a provvedimenti restrittivi.

Nei verbali emerge infine uno scontro tra il commissario all'emergenza Domenico Arcuri e lo stesso Cts, con alcuni membri dell'organismo che minacciano le dimissioni dopo una lettera di Arcuri che imputa loro ritardi nella fornitura dei pareri di validazione sulle mascherine e gli altri dispositivi di protezione individuale che dovevano esser distribuite con la Fase 2, dal 4 maggio.

 

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