Le risorse del Pnrr non sono solamente soldi

Cinque anni per capire cosa potrà diventare l’Italia e quale peso potrà avere nello scacchiere europeo e globale. Con queste premesse è stato accolto il Pnrr, declinazione italiana del Nex Generation Eu, un piano straordinario sotto tanti punti vista.
Non colpisce infatti solo la quantità di soldi messa a disposizione (191,5 miliardi all’Italia su 750 complessivi) ma anche la modalità scelta dall’Europa per varare la misura: finanziare tramite debito comune, superando le diffidenze dei Paesi frugali, significa agire davvero come una sola entità economica e politica. E nei giorni in cui si discute sul rischio di perdere la tranche da 19,6 miliardi per l’incapacità di spendere le risorse in riforme e investimenti (la data cerchiata in rosso è il 30 giugno), qualcuno ha persino ventilato la possibilità di rinunciare a parte dei soldi europei.
Scegliere tale via sarebbe una sconfitta enorme, forse addirittura peggiore del mancato raggiungimento dei target, un alzare bandiera bianca dinanzi all’atavica incapacità nostrana di saper pianificare. Perchè è questo che Bruxelles chiede ai Paesi membri: organizzazione.Certo è che, rispetto da altre misure di sostegno diretto, l’Europa con il Recovery plan ha fissato paletti molto più stringenti, forse proprio per accontentare quelle Nazioni meno propense a finanziare tramite debito comune la ripresa post Covid. Invece di parlare di rinuncia ai fondi per il Pnrr forse bisognerebbe trattare proprio sulle forme attraverso le quali le risorse vengono erogate.
La Commissione si è mostrata possibilista in questo senso, meno invece sullo slittamento della data conclusiva del piano, quel 2026 che dovrebbe vedere riforme e opere realizzate o almeno in avanzato stato dei lavori. In ogni caso l’Italia non può permettersi di perdere il treno del Pnrr, né sul fronte della crescita interna né su quello del lustro sul piano internazionale.
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