Economia

Il meteo danneggia i primi raccolti e ritarda le semine

Valerio Pozzi
Dai 30°C di fine aprile alle forti piogge di maggio: una problematica per il mais
La semina del mais - © www.giornaledibrescia.it
La semina del mais - © www.giornaledibrescia.it
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In linea di massima, le semine del mais sono sicuramente meglio di quelle dello scorso anno, che è stato disastroso. Tuttavia, se ci confrontiamo con l’annata passata, in media siamo assolutamente in termini negativi. A parlare è Giovanni Martinelli presidente Condifesa, allevatore zootecnico e cerealicoltore.

«Le continue piogge e i cambi climatici improvvisi - dice Martinelli - hanno generato dei ritardi nelle semine, ma anche dei problemi nel mais che è stato seminato. Faccio un esempio molto semplice - continua -. A fine aprile c’erano le temperature altissime che superavano i 30° C e successivamente si sono avute delle forti piogge con un innalzamento dell’umidità: fenomeni che hanno provocato nei terreni delle problematiche, come ad esempio degli attacchi fungini che in casi estremi si sono diffusi in modo esteso e hanno compromesso tutto il raccolto».

Il punto

In generale, conferma Martinelli, i raccolti di cereali autunno-vernini e il loietto, a causa delle abbondanti piogge dell’ultimo periodo hanno ritardato. «Ci sono ancora molti agricoltori che devono raccogliere loietto, frumento e orzo che sia da sfalcio per essiccare, ma anche la semplice trinciatura», racconta il presidente di Condifesa.

Il ritardo di questi raccolti provoca a sua volta un ritardo nella semina del secondo raccolto come mais o sorgo. Ogni giorno che passa ha una ricaduta sia in termini quantitativo che in termini qualitativi sul prodotto finale.

I numeri

In Lombardia la superficie agricola destinata alla coltivazione di mais da granella si è ridotta di quasi un quinto (-18%) negli ultimi cinque anni. Se nel 2019 gli ettari dedicati a questa coltura erano oltre 140mila, nel 2024 il dato è sceso sotto i 116mila ettari, un trend che ha portato a una contrazione del prodotto raccolto pari al 22%.

Basta pensare che nella nostra provincia nel 2024 la superficie a mais ceroso è rimasta invariata a poco più di 41mila ettari, mentre quella a mais da granella è scesa a 26 mila ettari registrando un calo produttivo di oltre il 25% rispetto al 2023. «Sempre di più occorrerà far conto con il cambiamento climatico - spiega Oscar Scalmana leader di Agridifesa Italia - e quello che è successo recentemente a Rudiano non è che l’ultimo caso. Assicurarsi e utilizzare le nuove tecnologie come le Tea per selezionare nuove varietà, risulta sempre più imprescindibile e non più derogabile».

Lo scenario

Piogge improvvise e abbondanti, seguite da periodi di siccità, rendono sempre più difficile programmare e realizzare le lavorazioni nei tempi ideali. Un problema che tocca da vicino anche il territorio bresciano, dove molte aziende si trovano in difficoltà nel rispettare i piani colturali.

«La diminuzione delle superfici destinate a mais da granella è esemplificativa delle sofferenze del comparto cerealicolo nel suo complesso - commenta Laura Facchetti, Presidente di Coldiretti Brescia. Consapevoli dell’urgenza di risposte concrete, Coldiretti ha già messo in campo una serie di soluzioni per supportare gli agricoltori in questa transizione climatica come ad esempio l’assistenza tecnica personalizzata, la continua formazione ed informazione e la valorizzazione delle pratiche sostenibili. L’obiettivo è chiaro, garantire la sostenibilità economica delle aziende agricole, salvaguardare la produzione cerealicola del territorio senza rinunciare alla qualità e alla tradizione». Sì, perché c’è da fare i conti anche con il mercato perché produrre mais con un prezzo fermo da tempo a 240 euro non è così semplice.

«Come Confagricoltura Brescia - spiega il presidente Giovanni Garbelli - ci siamo mossi per primi e per tempo in Regione e al Ministero per valorizzare il lavoro della nostra sezione economica seminativi in quanto riteniamo che, dopo le penalizzazioni subite con la Pac e gli ecoschemi, sia giunto il momento di valorizzare e integrare nelle filiere zootecniche e agroenergetiche il prodotto che viene dalla terra così come viene fatto per il vino con la vite e con le uve.

Le ottime performance del latte e della carne, infatti, dovrebbero essere maggiormente ricondotte anche ai meriti del mondo dei seminativi locale che rispetto al prodotto estero non può essere considerata una commodity. Semplicemente perché - conclude Garbelli - stanno alla base delle migliori produzioni Dop dell’agroalimentare made in Italy. Serve quindi questo sforzo da parte della politica e delle Istituzioni così da valorizzare il lavoro in campagna sempre più complicato e difficile».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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