Lavoratori «fantasma»: in 3.000 versano contributi che vanno nel nulla

C’è un esercito lì fuori. Sono lavoratori poveri, intermittenti, sottopagati. Sono i Co.co.co., queste creature (quasi) mitologiche accomunate da un fumoso acronimo. Le loro menti non funzionano come quelle dei loro padri o delle loro madri: alla pensione loro neppure ci pensano. È una chimera, un’oasi lontana, il lusso di un universo sgretolato. Come potrebbe essere altrimenti?
La situazione
In Italia ci sono quasi 65mila precari che hanno versato oltre 14 milioni di euro di contributi alla gestione separata, ma che per l’Inps non esistono: non hanno nemmeno un mese accreditato. Zero tutele, zero diritti, zero futuro previdenziale. Non è un errore, è l’immagine più estrema dell’iper-precarietà italiana.
A restituire uno scenario finora inedito è uno studio di NIdiL Cgil e Osservatorio Pensioni Cgil: esistono persone che lavorano e pagano, ma che restano fuori dal sistema dei diritti. Anche a Brescia. Cerchiamo di capire per quale ragione. Nel 2024 servivano 18.555 euro di reddito annuo per maturare un anno pieno di contribuzione. Sotto questa soglia, l’Inps accredita solo una parte delle mensilità.
È un calcolo proporzionale: metà del reddito significa metà dei mesi, un quarto del reddito un quarto dei mesi. Ma quando il risultato è inferiore a uno, scatta l’arrotondamento a zero. Così chi guadagna mille euro (o poco più) ottiene zero mesi accreditati, pur avendo versato regolarmente la propria quota contributiva. È questo il meccanismo che genera la figura del «contribuente netto», il lavoratore che versa ma non esiste nei conti previdenziali. Non sono pochi: si tratta di un lavoratore su cinque tra tutti i collaboratori esclusivi.
Nel Bresciano
In provincia di Brescia si stima che in questa condizione di fragilità ci siano più di 3mila lavoratori (pari a circa il 5% del totale nazionale). Sono coloro che, secondo l’Inps, hanno guadagnato tra i 6mila e i 13mila euro. Si tratta soprattutto di under 29 (ma non solo) e ad essere economicamente più svantaggiate sono – ancora una volta – le donne. Un rapporto corrispondente a quello nazionale dove le donne, che rappresentano il 47% della platea dei collaboratori esclusivi, scendono a 6.839 euro mentre gli under 35, il gruppo più fragile e più numeroso, arrivano a malapena a 5.530 euro. Nel 2024 hanno percepito mediamente compensi per 8.566 (siamo ben lontani dall’anno pieno di contribuzione).
Lavoratori poveri
Dagli operatori dei call center alle maestre d’asilo, dagli archeologi alle guide turistiche e i traduttori, sono oltre 600mila i lavoratori «poveri oggi e pure domani», con «compensi largamente insufficienti ad una vita dignitosa oggi», denuncia NIdiL Cgil. Per loro il sindacato chiede un salario minimo o un equo compenso «non inferiore a quanto previsto per le medesime figure professionali dalla contrattazione collettiva nazionale, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, che costituisca anche la soglia minima per la definizione dei compensi dei parasubordinati su cui agire».
Anche perché bassi redditi e brevi periodi di contribuzione allontanano di fatto il traguardo del pensionamento per la stragrande maggioranza dei parasubordinati. Secondo l’indagine anche per chi ha un reddito minimale annuo di 18.555 (raggiunto però appena dall’8% dei Co.co.co), «servono almeno 30 anni di contribuzione per accedere alla pensione di vecchiaia contributiva a 67 anni» e avere un assegno di 852,64 euro. La pensione anticipata contributiva a 64 anni invece è irraggiungibile in qualsiasi scenario. Per tutti questi motivi il 12 dicembre, nella giornata di sciopero generale della Cgil, in piazza ci saranno anche Co.co.co. e professionisti.
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