Furto al Louvre, banda incastrata col Dna impresso sui tamponi di Copan

Quattro componenti della banda che un paio di settimane fa ha messo a segno il clamoroso furto di gioielli al Louvre sono finiti in carcere grazie ai tamponi prodotti da Copan.
Due dei fermati dalla Police nationale sono un’insospettabile coppia parigina con figli, gli altri due invece sono dei residenti nelle banlieueu a nord della capitale francese, già noti per questo tipo di colpi. A incastrarli sono state le immagini delle telecamere di sorveglianza, delle brevi intercettazioni di telefonate e i prelievi di Dna lasciato sugli oggetti che i malviventi avrebbero voluto portare con sé e che gli agenti francesi hanno raccolto nel corso delle indagini e analizzato con i tamponi «floccati» del gruppo bresciano.

Il punto
«I dispositivi che produciamo per l’attività forense – spiega il Chief Commercial & global marketing di Copan, Gaetano Natale – sono simili per tecnologia a quelli utilizzati per rilevare l’infezione da Sars-Cov-2, il Coronavirus, ma presentano altre due caratteristiche. Innanzitutto, non sono contaminati da altro materiale umano che possa compromettere le indagini, tant’è vero che al singolo tampone viene associato il nome dell’operatore che l’ha prodotto per escludere eventuali sue tracce di Dna durante le analisi investigative. In secondo luogo, ma non certo per importanza - continua Natale –, i tamponi che forniamo ormai a diverse forze di polizia in tutto il mondo (dai Ris di Parma fino all’Fbi, passando appunto dalla Police nationale e dalla Gendarmerie) vantano la peculiarità di saper collezionare anche la più piccola parte di Dna presente su un oggetto».

In effetti, secondo quanto riportato dalla procuratrice generale di Parigi Laure Beccuau, la banda del Louvre avrebbe lasciato tracce di Dna non soltanto sulla preziosa corona di Maria-Eugenia, imperatrice dei francesi e moglie di Napoleone III, maldestramente caduta dalla sua teca espositiva, ma anche su oggetti molto più banali: come due fresatrici, una fiamma ossidrica, una tanica di benzina, un paio di guanti, un walkie-talkie, un gilet giallo, una coperta e un casco da motociclista. L’incrocio di informazioni contenute nei Dna presenti su questi oggetti, con quelli contenuti nei file delle persone schedate, ha consentito alla polizia transalpina di identificare i ladri.
«I tamponi utilizzati nell’attività forense – conclude Gaetano Natale, collegato da Singapore in compagnia con la collega Laura Visconti –, fanno parte di una serie di progetti e nuovi prodotti che abbiamo sviluppato anche per smascherare violenze sessuali: sono utilizzabili anche da persone non formate per effettuare specifiche analisi microbiologiche e, dopo la raccolta del campione analizzabile, garantiscono una lunga stabilità del Dna, tanto da poter riaccedere al campione in un secondo momento».
Ora, però, resta da scoprire chi sia il mandante del maxi furto al Louvre e dove sia ancora nascosta la refurtiva. Natale e Visconti si congedano senza aggiungere altro in proposito, ma con un sorriso che pare un indizio di complicità.
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