Mercato unico dell’energia: «Più che di costi, si parli di valore»

Anita Loriana Ronchi
All’auditorium Santa Giulia, per iniziativa di Confapi Brescia, il convegno al quale hanno partecipato imprese, istituzioni ed esperti
I protagonisti del convegno - © www.giornaledibrescia.it
I protagonisti del convegno - © www.giornaledibrescia.it
AA

L’Ue sta compiendo i passi verso un mercato unico dell’energia, processo che punta ad integrare i mercati energetici nazionali in un sistema più ampio e competitivo. Ma la domanda, che sta a monte è: come è possibile costruire un mix energetico stabile, solido e compatibile sia con le esigenze economico-sociali, sia con le sfide ambientali? Ed, inoltre, in quale modo uniformare una molteplicità di Paesi, ciascuno dei quali (e anche a seconda delle proprie specificità territoriali) ha creato un modo di produzione differente? Forse il titolo del convegno «Verso il mercato unico dell’energia – Produzione e reti in Italia e in Europa», svoltosi all’auditorium Santa Giulia per iniziativa di Confapi, qualche punto di sospensione lo richiederebbe.

Confronto

«Abbiamo voluto organizzare questo momento – ha detto il presidente Confapi Brescia e Confapi Lombardia, Pierluigi Cordua – per porre a confronto imprese, istituzioni, esperti, stakeholder energetici. Nel 2024, le imprese italiane hanno pagato una media di 109 euro per megawattora, contro i 78 della Germania, 63 Spagna, 58 Francia. Non è possibile essere competitivi a queste condizioni. Serve – sottolinea Cordua – un’agenda energetica coerente, europea ma con declinazione concreta a livello locale. E anche sulle tecnologie, dalle rinnovabili al nucleare, dobbiamo avere il coraggio di discutere senza schemi precostituiti, ma con il rigore dei numeri e la responsabilità delle scelte».

Il quadro

«La Lombardia – osserva l’assessore regionale all’Ambiente Giorgio Maione – è la regione con i consumi energetici più elevati, oltre il 20% del totale nazionale e ben l’83% del fabbisogno energetico finale è coperto da risorse importate, in gran parte di origine fossile. Ma, ciò nonostante, abbiamo fatto passi da gigante: la produzione da fonti rinnovabili è raddoppiata negli ultimi vent’anni e gli investimenti continuano a ritmo sostenuto». Centrale è il tema dell’autonomia energetica e, di conseguenza, delle fonti cui ricorrere per cercare di raggiungerla. Sollecitato dalle domande del caporedattore del Giornale di Brescia, Carlo Muzzi, il direttore di ricerca del Cnr, Nicola Armaroli, riflette sul legame fra transizione energetica e costi: «La dipendenza italiana dal gas è superiore a quella di Paesi produttori come Usa e Regno Unito. 

I combustibili

L’Italia però importa oltre il 95% del gas che consuma, il che espone imprese e famiglie a volatilità di mercato e prezzi alti». Per Armaroli, bisogna «spostare progressivamente i consumi dai combustibili (che rappresentano ora il 75%) all’elettrico (25%). Nel nostro Paese non abbiamo i prezzi più alti in assoluto, ma poiché consumiamo tanto gas le bollette sono più elevate». L’abbassamento dei costi energetici passa da un più rapido dispiegamento delle tecnologie elettriche rinnovabili, dei sistemi di accumulo e della autoproduzione, come avviene in aree avanzate del mondo, vedasi la California. «Da noi – chiude – il gas è una tradizione storica, ma dobbiamo svincolarci dai combustibili fossili, che oggi portano più danni che benefici». In tale contesto, la discussione sul nucleare è una delle più calde.

I «cost drivers»

«Quando si parla di progettualità per il nucleare, bisogna tenere conto del fatto che il costo degli impianti nucleari deve essere contestualizzato; esistono infatti molteplici “cost drivers” che impattano su costi capitali ed operativi» rileva Giorgio Locatelli, docente alla School of management del Politecnico di Milano, intervenuto alla tavola rotonda assieme all’esperto Giuseppe Lucci, Stefano Saglia (membro di Collegio Arera), Lorenzo Spadoni (direttore business unit Generazione e Trading A2A) e Antonio Sileo (research fellow presso Green Bocconi e direttore Osservatorio Innovazione Energetica I-Com). «Il primo driver cost è la numerosità, ovvero quanti reattori costruirò; il secondo, la standardizzazione del design e di chi lo fa» ha puntualizzato l’esperto. Per realizzare un impianto nucleare occorrono dai 5 ai 15 anni (che equivalgono però anche a contratti per le nostre aziende) per un onere che va dai 2/3 ai 12 miliardi. Dipende, alla fine, se vogliamo «continuare ad essere una realtà industriale» evidenzia Locatelli. E, forse, più che di «costo», si può in certi casi parlare di «valore».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.