Enrico Camanni, storie di vita in quota nel nuovo «Mal di montagna»

Il volume raccoglie quindici avventure raccontate attraverso la passione per la montagna
Lo scialpinista Jean-Marc Boivin in discesa - © www.giornaledibrescia.it
Lo scialpinista Jean-Marc Boivin in discesa - © www.giornaledibrescia.it
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La passione per vette e pareti può trasfigurare un’intera vita, perché non è proprio una malattia leggera il «mal di montagna». Chi lo contrae da giovane continua a vivere come tutti gli altri uomini il suo personale itinerario caratterizzato da momenti di soddisfazione, desideri, gioie e dolori, ma in modo trasformato dal questa peculiare passione.

«Mal di montagna» è il titolo del lavoro (ripubblicato ora per Cai Edizioni; 144 pp., 16 euro) di Enrico Camanni, scrittore, giornalista e scalatore, autore di libri di storia e letteratura dell’alpinismo. In maniera documentata, coinvolgente e intima, frutto anche dell’amicizia e della conoscenza diretta maturata con alcuni dei personaggi raccontati, Camanni offre al lettore quindici storie che partono dagli inizi del Novecento. Tutti i protagonisti sono accomunati da una travolgente passione, qualcuno fino al punto di risultarne sopraffatto. Il tratto umano sotteso dalle storie rivela al lettore sorprese e motivi di riflessione, come ci racconta lo stesso autore.

Camanni, il sottotitolo del suo volume è «quindici storie di passione». Crede che la passione per la montagna continuerà anche in futuro? In quale nuove forme potrà declinarsi la cura del mal di montagna?

La passione non cambia, ma cambia la relazione. Oggi la montagna è radiografata in ogni modo, sappiamo ogni cosa, conosciamo le previsioni meteo, possiamo chiamare soccorso in qualsiasi momento, quindi siamo più smaliziati. Un desiderio troppo facile da esaudire rischia di appannarsi, alla lunga. Per la cura invece non cambierà niente: bisogna imparare ad amare senza farsi bruciare. Vale per tutte le passioni.

Nella nostra città c’è una strada dedicata ad Alexander Langer, tra i personaggi da lei raccontati. Politico, giornalista, parlamentare europeo, costruttore di ponti, trasversale a orientamenti politici, culturali e religiosi, che rapporto aveva con l’alpinismo?

Con l’alpinismo nessuno, a parte una curiosità generica e una certa ammirazione, credo. Il rapporto era intenso con le montagne, perché Alex ci era nato e cresciuto nel mezzo. Le Alpi erano il luogo da cui era partito, ma anche il simbolo della spina dorsale europea, e la cintura verde. Lì passava uno dei suoi progetti di fratellanza tra i popoli.

A distanza di un secolo, la storia di Renzo Videsott, direttore del Parco nazionale del Gran Paradiso, presenta numerosi spunti di attualità sul necessario impegno per la protezione della natura…

Videsott era uno splendido radicale. Ha dedicato mezza vita alla difesa della natura quando ancora l’ambientalismo non andava di moda e non ti ringraziava nessuno. Come tutti i precursori è stato impopolare, al punto che gli abitanti del Gran Paradiso pretesero il suo allontanamento dal Parco. È stato un direttore scomodo e necessario.

Un’altra figura affascinante è quella dello scalatore Renato Casarotto, l’eroe solitario vicentino senza macchia e senza paura…

Senza macchia (forse), ma pieno di dubbi e paure quando era nel consorzio umano. Un uomo straordinariamente determinato in montagna e abbastanza fragile altrove, anche se con gli anni imparò a farsi rispettare. Aveva un talento nascosto e in parete si trasformava, stupendosi lui stesso.

Jean-Marc Boivin, scialpinista e base jumper, morì in seguito ad un lancio: la passione che brucia può diventare anche un’ossessione?

Sì, può diventare una droga. Jean-Marc era un ragazzo intelligente e pieno di talenti, ma s’è fatto prendere troppo, secondo me. Non è l’unico, naturalmente.

Lei ha descritto il fascino della montagna «umanamente folle e follemente umano, dove non ha senso ciò che si vede, ma solo quello che non si vede». Si sente privilegiato nella sua esperienza di alpinista, giornalista e scrittore di montagna?

Sì, è stato un bel modo di riempire la vita. Completo. Gratificante. Spesso ho attenuato il fuoco della passione con il lavoro, e viceversa. È un equilibrio delicato, ma se riesci a trasformare la passione in un’attività professionale, le motivazioni non ti mancano quasi mai. Lo consiglio a tutti, anche se è difficile.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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