Milano Cortina 2026, il bresciano Tortelli coreografo del gran finale

L’annuncio ufficiale è di pochi giorni fa: il bresciano Diego Tortelli è stato nominato Head of Choreography per la Cerimonia di Chiusura dei Giochi Olimpici Invernali Milano Cortina 2026, in programma il prossimo 22 febbraio all’Arena di Verona. Un incarico prestigioso che segna un passaggio importante nel percorso di uno dei coreografi italiani più interessanti della scena contemporanea, capace di unire ricerca e sperimentazione a grandi contesti istituzionali.
Dal 2018 Tortelli è coreografo residente del Centro Coreografico Nazionale / Aterballetto e ha firmato lavori presentati alla Biennale di Venezia e alla Triennale Milano, costruendo un immaginario riconoscibile dove bellezza e innovazione dialogano costantemente. Lo abbiamo incontrato per approfondire il suo percorso e il significato di questa nuova sfida olimpica.
Diego, cosa l’ha preparata di più ad affrontare questa sfida?
Con totale onestà e grande umiltà, credo che non si sia mai davvero pronti per un evento di una tale portata. Ed è forse proprio questo il suo fascino più profondo. Quello che sento però di aver coltivato nel tempo è un’apertura sincera, una disponibilità totale e un desiderio autentico di dare sempre il massimo: credo che questo sia il miglior punto di partenza possibile. Una cerimonia olimpica richiede una visione globale, un impatto potente, ma allo stesso tempo profondamente poetico. Mi sento estremamente fortunato ad aver attraversato, nel mio percorso, contesti molto diversi tra loro: teatro, opera, grandi eventi, creazioni intime e lavori monumentali. Non ho mai voluto rinchiudere la mia danza – né come interprete né come creatore – dentro i confini di un solo linguaggio o di un solo luogo. L’ho sempre messa al servizio di ciò che era necessario, adattandola alle diverse richieste senza mai perdere la mia identità e la mia estetica.
Che tipo di lavoro richiede un progetto di queste dimensioni?
Creare per una cerimonia olimpica significa entrare a far parte di un team creativo di eccellenza, dove lo scambio continuo, l’ascolto reciproco e il nutrirsi l’uno dell’altro rendono speciale non solo il risultato finale, ma anche l’intero processo creativo. Sono profondamente grato alla regista Stefania Opipari e Filmmaster, per avermi voluto all’interno di questo straordinario gruppo, per la fiducia che mi hanno accordato e, soprattutto, per aver creduto con tanta forza nella bellezza e nel potere della danza.
Che significato ha per lei coreografare una cerimonia così globale?
Significa vivere un’esperienza unica, irripetibile, di quelle che probabilmente capitano una sola volta nella vita. È qualcosa che non avrei mai nemmeno osato immaginare o permettermi di sognare. Coreografare una cerimonia olimpica è uno di quei momenti destinati a rimanere per sempre impressi nel cuore. Poterlo fare come artista scelto nel proprio Paese, portando con sé anche la propria identità e la propria italianità in dialogo con il mondo intero, è per me un onore immenso. È responsabilità, certo, ma è anche una gioia profonda e una gratitudine difficile da descrivere a parole.
La cerimonia di chiusura è un momento di sintesi e di compimento: che tipo di energia coreografica immagina per questo rito collettivo?
La visione complessiva della cerimonia si fonda su un continuo dialogo tra tributo, innovazione e presenza. La danza, insieme a tutti gli altri elementi artistici, ha proprio il compito di raccontare questo equilibrio delicato. Racconta forza e fragilità, atletismo e poesia. Ogni segmento diventa un viaggio: in alcuni momenti è l’adrenalina a guidarci, in altri è quella poesia sottile e potente che arriva dritta al cuore. Il movimento atletico si trasforma in virtuosismo ed eleganza, può essere una macchina di potenza o una forma di delicata organicità. Un atleta, così come un artista, è fatto di corpo e anima. Ed è in questa coesistenza che nasce l’energia della Cerimonia: un rito collettivo che celebra entrambe.
Le Olimpiadi celebrano il corpo atletico: che relazione vede tra il corpo dello sportivo e quello del danzatore?
Al centro di tutto c’è il corpo: un corpo in costante allenamento, a cui viene chiesto di superare i propri limiti ogni giorno. Ma c’è anche il concetto di squadra, di team, quel sostegno fondamentale che ti spinge a crescere e a guardare sempre oltre il traguardo. Il danzatore è un atleta, così come l’atleta è, a suo modo, un artista. Sono profondamente convinto che per raggiungere un obiettivo olimpico – per arrivare a una medaglia destinata a rimanere nella storia – sia necessario un altissimo grado di consapevolezza, sensibilità e conoscenza del proprio corpo. È proprio in quel momento che il gesto atletico smette di essere solo performance e diventa poesia, diventa iconico. Pensiamo a uno sciatore che scivola su una pista bianca ad altissima velocità, con maestria assoluta. E immaginiamo un danzatore che scivola sul palcoscenico, magari in un Lago dei Cigni. In entrambi i casi il corpo viene messo al servizio di un atto di grande virtuosismo che è, allo stesso tempo, profondamente poetico e indimenticabile.
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