Cultura

Melodia e caos: Thurston Moore è sempre il Re del noise

Sul palco della Festa di Radio Onda d'Urto il fondatore dei newyorkesi Sonic Youth. Un concerto da ricordare, breve, ma completo
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AA

Se avete avuto tra le mani una chitarra dagli anni Novanta in avanti è probabile che a un certo punto vi siate girati verso l'amplificatore compiacendovi dei fischi che ne uscivano; o magari avete intrecciato arpeggi con lievi dissonanze, tenendo poi un accordo per un numero svariato di battute mentre la batteria proseguiva dritta per la sua strada senza sbavature.

Gesti e stili che appartenevano (e che ancora appartengono, per certi versi) al manuale del chitarrista indie, presi direttamente dalla divinità del noise chiamata Thurston Moore. Sul palco della Festa di Radio Onda d'Urto il fondatore dei newyorkesi Sonic Youth ha chiarito ieri sera il concetto di marchio di fabbrica, esibendosi in un live che ha proposto alla perfezione le sonorità che gli hanno portato culto e adorazione tra gli adepti della scena alternativa che nel frattempo ha perso molti protagonisti (Cobain, Staley, Weiland, Cornell..).

Chitarra Fender Jaguar, arpeggio iniziale insistito sulle note alte, voce distante che spesso ricorda quella di un ragazzo (un ragazzone, vista l'altezza), Moore era salito sul palco senza assistenti, senza roadie, sistemandosi da solo il leggìo, preparando il set con quelle mosse abituali di chi lo fa da quarant'anni (e l'anno prossimo ne compie sessanta, ridendo e scherzando).

Con lui Steve Shelley, pure batterista dei Sonic Youth, Debbie Googe, già bassista dei My Bloody Valentine (altro tempio dell'alternative), e dal chitarrista James Sedwards, che potrebbe interpretare la parte del cattivo in un film dei fratelli Cohen. È lui, forse, a marcare maggiormente la distanza tra Moore e i Sonic Youth: il suo stile è più classico, da chitarrista rock, meno sfuriate e più scale. E ci sta, visto che è il concerto, appunto, di Thurston Moore.

Quindi niente nostalgie, ma un bellissimo album da portare in giro, Rock n Roll Consciousness, probabilmente il suo migliore lavoro solista. Canzoni, come Cease Fire, Smoke of Dreams o Aphrodite, che si protraggono tra melodia, rumore, psichedelia, in cui il caos trova sempre un ordine e in cui l'ordine si disperde sempre nel caos, senza che la band perda mai la bussola. Moore è talmente DIY, do it yourself, che si cambia anche la corda da solo, senza assistenti che gli portino una chitarra sostitutiva, mentre i compari suonano senza fermarsi. Un intermezzo che in situazioni normali potrebbe diventare noioso, ma che qui è perfettamente calato nell'atmosfera. Libera, senza stress, da viaggio: meno rabbia, meno punk, più colori che si confondono sulla tela.

È il marchio di fabbrica di Thurston Moore, si diceva, che agli impegni musicali affianca quelli di attivista politico. Anti-Trump, naturalmente.

A Brescia non c'è spazio per proclami, se non il richiamo all'amore, tema centrale dell'ultimo disco e di questa fase dell'esistenza di Moore (si è separato dalla compagna di musica e di vita Kim Gordon nel 2011, ora sta felicemente con Eva Prinz, editrice inglese che lo aiuta anche a portare via la chitarra, alla fine, vestita con tacchi argento e abito blu elettrico come a una cena di gala, mentre il pubblico pensa: "che tipa...").

Un concerto da ricordare, breve, ma completo, terminato con Ono Soul, singolo del primo album solista di Moore (Psychic Hearts, 1995), pezzo il cui riff iniziale spiega meglio di mille parole le atmosfere della scena alternativa, pure del grunge, e la sua eredità. "Inchinatevi davanti alla Regina del Noise", canta Moore, ma non c'era nemmeno bisogno di dirlo.

 

 

 

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