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Gli 80 anni di Franca Grisoni: il Garda, la böba, la natura

Elisabetta Nicoli
Brescia celebra la poetessa che scrive nel dialetto di Sirmione ed è una voce della letteratura contemporanea
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Festa per gli 80 anni di Franca Grisoni
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A Sirmione, dove vive e scrive nel dialetto locale, Franca Grisoni è nata il 20 marzo 1945 e Brescia ne celebra gli ottant’anni e la scrittura, che è riconosciuta tra le più significative della poesia italiana contemporanea. Premi importanti, a partire dal Bagutta opera prima per «La böba» del 1986, sono stati attribuiti nel tempo alle raccolte della sua produzione poetica, che è ben in evidenza nel panorama della critica letteraria. 

Il volume «Poesie» dell’editrice Morcelliana ha riunito l’opera di Franca Grisoni fino al 2009. Altre pubblicazioni hanno fatto seguito fino a «Le crepe», nel 2021. E il 27 marzo alle 17 la poetessa sarà ospite del Ctb per un pomeriggio al teatro Tina Mezzadri: l’incontro «En piena luce» vedrà la partecipazione di Laura Castelletti, Vivian Lamarque, Cesare Levi, Giuseppina Turra e Paola Carmignani.

Ma l’impegno di grisoni si estende alla stesura di testi critici, alla cura di antologie poetiche e, da anni, alla collaborazione con la pagina della cultura del Giornale di Brescia. Ci ha parlato del suo lavoro.

Franca Grisoni, da quanti anni si dedica alla poesia?

Avrò avuto trent’anni, quando ho iniziato: creavo oralmente nel dialetto di Sirmione per mio marito che non lo conosceva. «Go fat en penser», gli dicevo. Ho incominciato a scrivere in un secondo tempo queste poesie brevi e musicali, facili da ricordare. Il dialetto è la lingua dei sirmionesi, di una comunità. È la lingua dell’altro, tra tanti che parlano tedesco o inglese o italiano: è un modo per chiedere ascolto. Non cerco parole arcaiche da mettere in teca, ho parole per cose elementari. Annoto molti appunti, poi non tutti diventano poesia: quando la poesia riesce, arriva a chi l’ascolta.

Si riconosce sempre nell’upupa del suo primo libro?

Non potevo paragonarmi a un’aquila, con la böba volevo significare l’atteggiamento di stupore che fa scrivere, una certa ingenuità. Poi ho fatto un percorso, ho scritto di Medea e del Romanino, ma resta l’atteggiamento di meraviglia. L’upupa è un uccello molto bello, nonostante le sue movenze impacciate.

La natura ha molto spazio nella sua opera.

È un elemento dominante in tutte le mie raccolte. Mi viene in mente la poesia sulle prugne, che mio marito trova luminose, mentre io vedo la materialità: è un modo per parlare dell’amore coniugale, in cui ciascuno è l’altro, con una sua visione del mondo. La poesia sulla natura dà sia la possibilità di una lettura immediata, sia di uno scavo.

Noi abbiamo questo lago antichissimo segnato dal tempo nella sua forma modellata dai ghiacci, con le colline intorno che conservano specie diverse nei fossili racchiusi dentro la pietra rosa. Nella poesia di Catullo letta dal maestro in quinta elementare tutto gioisce per il suo ritorno: è una visione antropocentrica. Io sono qui nel verde tra pesci, uccelli, pietre a scaglie sotto i resti della villa romana: vedo il luogo straordinario che la natura ha dato a me.

È «Gratia Plena» nella sua poesia la bellezza del lago e sono grazia anche le crepe della vita.

Se c’è possibilità che le crepe si saldino, si può recuperare la qualità dei sentimenti. Non sempre la rottura può essere aggiustata, possiamo solo sperarlo in questo momento storico tremendo, di guerre e sofferenze dei popoli. La poesia rende dicibile il dolore, ci rende consapevoli nelle nostre scelte. La poesia è uno strumento di conoscenza straordinario, leggendo si fa esperienza di mondi altri.

Ci sono letture che ama in modo particolare?

In una poesia che ho sempre presente, Saffo è sola nella sua isola: non è stata scelta, è una pöta, come si diceva da noi, ma quella fanciulla non scelta è come il frutto non colto sul ramo più alto. Ho continuato a leggere Emily Dickinson, leggo volentieri le poesie di Pierluigi Cappello, mi piace Andrea Zanzotto per il suo sentimento della natura degradata. Ogni poeta è un mondo, noi stessi non siamo gli stessi nel corso della nostra vita

Sta scrivendo in questi giorni?

Scrivo di incontri umani. Ho l’occasione di incontrare molte donne anziane e vedo le possibilità di un invecchiamento diverso, per la lucidità e la memoria. Mi è venuta una poesia sul gioco, ricordando come da bambine si saltellava spingendo un sasso dentro il disegno di una casa, a confronto con un certo modo di camminare, in un’altra età.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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