Franca Grisoni: «La poesia come l’amore è mettersi in ascolto»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco, invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo (in calce all’intervista trovate il link diretto alla pagina dedicata del quotidiano orobico).
Una capitale della cultura si forma anche grazie alle parole dei suoi poeti. E Franca Grisoni, che porta ormai sulle spalle molte raccolte di versi – ha iniziato nel 1986 con «La böba», Premio Bagutta opera prima –, incarna bene il legame tra il radicamento in un luogo e la risonanza universale del parlare poetico: per i suoi testi nel dialetto di Sirmione, il paese dove è nata e ha sempre abitato, è considerata una delle maggiori poetesse italiane. Il dialetto non è un limite e la traduzione in lingua italiana non lo sminuisce: «Se c’è vera poesia, rimane tale anche tradotta».
Franca Grisoni, qual è la relazione tra un poeta e il territorio in cui abita?
Il mio luogo è Sirmione. Ho dedicato molte poesie al mio abitare qui, al lago, alle bisce d’acqua, alle onde, alla capacità del luogo di imporsi e trasformarsi nella mente. In una poesia parlo delle «bestie di acqua», che sono le onde coperte dalla lanugine dei pioppi. Ho la consapevolezza di vivere in un luogo geologico speciale. Avendo avuto maestri molto bravi, fin da piccola ho saputo che la forma della penisola è originata dal disgelo, dal ghiaccio sceso e spezzatosi sulla roccia di Sirmione: le colline moreniche sono state create da questo grande movimento. A Sirmione poi sgorga l’acqua calda, sei consapevole di essere su un pianeta vivo.
Un luogo in cui dialogano natura e cultura…
I ruderi antichi si possono intravedere in molte case di Sirmione. Quelle che chiamiamo Grotte di Catullo furono usate come cave per costruire: insieme a quella pietra rosa così particolare che affiora intorno al lago, nelle case si vedono gli innesti delle pietre delle Grotte. Oltre che da Catullo, Sirmione è stata cantata da moltissimi poeti. Il valore indicibile di questo posto è nel fatto che conserva ancora parecchio della bellezza antica, perché sull’acqua non si può costruire.
C’è poi il piccolo spazio del giardino di casa, luogo simbolico di tante sue poesie…
Il mio pezzettino di terra in questo momento è pieno di margherite alte, quelle di fosso. Tutte le rose sono fiorite, ci sono poi i colori diversi dei fiori nelle diverse stagioni, le erbacce che non tolgo per lasciare spazio alle lucciole… Ho un rapporto profondo con questo giardino, mi alimenta perché è poesia incarnata nel legno, nelle foglie, nella terra, che io devo lavorare inginocchiandomi. L’atto del diserbare è una metafora della vita spirituale: togliere ciò che non va e lasciare ciò che va bene, una condizione richiamata nelle mie poesie.
E la città di Brescia?
Brescia è lo sfondo della mia «Passiù» del 2008: «En chesta Bresa de sancc e lader ceze e boteghe, töt en laurà»… Sotto lo sguardo di Maria si svolge la vita laboriosa della città: le badanti e le prostitute, «spuse del marciapè», i cucchiai, le pentole e i fucili; la Brescia del lavoro e degli immigrati.
Una raccolta - «Crus d’amur» - è dedicata a un pittore bresciano, il Romanino…
La pittura era la Bibbia per le persone che non sapevano leggere, e in Romanino ho visto la grandiosità della parola dipinta. Nei suoi dipinti ci siamo noi, i volti della gente delle nostre valli. Nella «Passiù», la nota più originale è il fatto che sulla croce c’è una ladrona. Anche in quel caso mi ha ispirato un’immagine, quella di santa Giulia legata alla croce, raffigurata nel Museo di Santa Giulia a Brescia.
Come si scrive d’amore in dialetto?
L’amore coniugale, tema ricorrente delle mie poesie, ma anche l’amore del luogo, sono stati la spinta che mi ha fatto scrivere anche d’altro. L’amore è reciprocità e ascolto e anche la poesia, prima di essere scrittura, è ascolto. La poesia va anzitutto letta, non scritta… Io mi riconosco prima di tutto come una lettrice di poesia. Sono stata invitata a leggere in una mostra su Medea e ho ripreso la «Medea» che scrissi in dialetto nel 2012: in quante lingue hanno scritto di Medea, dal greco al latino al tedesco… e io so di averle lette tutte. La poesia è ascolto come l’amore, che è il più grande ascolto dell’altro.
Per leggere l'intervista «allo specchio» a Gabrio Vitali, ti rimandiamo all'Eco di Bergamo >>
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