Il dialetto sulle dita di una mano

Armilì, spuzalì, mata longa, frega öcc, copa piöcc! Ecco l’antica filastrocca infantile delle dita della mano. Frega öcc (l’indice) e copa piöcc (il pollice) sono di facile soluzione e rimandano rispettivamente all’azione di sfregarsi gli occhi e – cose d’altri tempi – di schiacciare i pidocchi. Anche spuzalì, il dito dell’anello nuziale, non crea problemi. Ma armilì e mata longa? Il primo è davvero misterioso: Antonio Foglio, nel suo Il vocabolario del dialetto di Toscolano Maderno (2011), lo rimanda al latino minimum, il più piccolo; altri invece lo avvicinano al diminutivo di armela, termine che indica i semi di certi frutti (ad esempio la mela, l’anguria ecc.).
Armela, a sua volta, sarebbe un adattamento dal tardo latino alma – a sua volta da anima – con la «solita» trasformazione della l in r (rotacizzazione). E arma è attestato già nel Cinquecento proprio nel significato di seme. Insomma, il mignolo, anche per le dimensioni, sarebbe vezzosamente paragonato a un semino. Sarà così? Per mata longa dobbiamo invece sconfinare, andare nella bergamasca e salire sulla Presolana, dove, sul versante nord, incontriamo quattro guglie calcaree, dette appunto «le matte», che, a guardarle bene, sembrano proprio quattro dita.
Il termine in questo caso non ha nulla a che vedere con la pazzia, matta è voce gallica, che significa ragazza (ragazzo in Valcamonica non si dice forse matel?). La voce, in senso traslato, la si ritrova anche con il significato di palo, di pertica. Quindi la mata longa sarebbe la ragazza spilungona, il dito più lungo; che è poi anche la caratteristica del dito medio.
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