Cinema

I film da guardare a Natale se si è tristi

Cristiano Bolla
Da classici intramontabili ambientati durante le Feste a piccoli cult da riscoprire, per ritrovare il sorriso e il divertimento durante i prossimi giorni
«Il miracolo della 34ª strada», un classico intramontabile - Foto Moviestore/Shutterstock
«Il miracolo della 34ª strada», un classico intramontabile - Foto Moviestore/Shutterstock
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Le feste di Natale arrivano sempre con la promessa di luci, tavolate, brindisi e «buoni propositi», ma non per tutti funzionano allo stesso modo. A volte il Natale può amplifica ciò che manca e ammantare questo periodo di malinconia o tristezza. In questi casi il cinema può diventare un alleato concreto, non come fuga sterile dalla realtà ma come piccola cura: due o più ore di storie capaci di distrarre, far sorridere, consolare, e perfino rimettere in ordine i pensieri. È il regno dei cosiddetti feel good movies, film che non negano le ombre ma sanno accendere qualcosa, e che proprio per questo tornano utili quando certe sensazioni si presentano non richieste sotto l’albero.

I classici

Un frame tratto da «La vita è meravigliosa»
Un frame tratto da «La vita è meravigliosa»

Se si cerca un abbraccio «a tema», i classici natalizi sono spesso la scelta più immediata, perché uniscono atmosfera, familiarità e un’idea di speranza che non scade per forza nel buonismo. Tralasciando alcuni titoli indimenticabili del periodo, come quel «Mamma, ho perso l’aereo» da poco tornato anche nelle sale, questo percorso non può che partire da «La vita è meravigliosa», film del 1946 e ancora oggi titolo simbolo: George Bailey (James Stewart), uomo comune intrappolato tra responsabilità e rimpianti, arriva a un punto di rottura proprio la vigilia di Natale. La storia lo mette davanti a una domanda che è anche il suo colpo di scena emotivo: quanto vale davvero una vita, e che segni lascia negli altri anche quando non ce ne accorgiamo? È un film immortale perché parla in modo semplice di fragilità e gratitudine, e perché la sua «magia» non è un solo un trucco, ma un modo per raccontare la rete invisibile di legami che ci tiene in piedi nei giorni peggiori.

Di tutt’altro tono, ma ugualmente efficace come antidoto alla tristezza, «Il miracolo della 34ª strada» del 1947 (ma ne esiste anche un remake del 1994), che gioca con la leggerezza della commedia e la forza di una fiaba moderna. Un anziano che sostiene di essere Babbo Natale finisce addirittura in tribunale, e all’improvviso una questione assurda diventa serissima: credere è un gesto infantile o un atto di fiducia necessario? Funziona bene perché non chiede di essere ingenui, ma di ricordare che un po’ di immaginazione e di gentilezza può cambiare la vita quotidiana più di quanto pensiamo. È una visione che, anche a distanza di oltre 70 anni, rimette in circolo il piacere del Natale senza obbligare nessuno a «sentirsi felice per forza».

«Canto di Natale», la rilettura animata di Robert Zemeckis
«Canto di Natale», la rilettura animata di Robert Zemeckis

Nella stessa categoria c’è poi un racconto che è praticamente un archetipo, ovvero «Canto di Natale», la parabola di Ebenezer Scrooge, l’avaro che nella notte viene visitato dagli spiriti del Natale Passato, Presente e Futuro. La cosa interessante, quando lo si rivede da adulti, è che non è soltanto una storia morale: è un film (anzi, molti film) sulla paura di cambiare, sulla solitudine che ci si costruisce attorno e sul prezzo dell’indifferenza. Proprio per questo è perfetto quando si è tristi: parla di chi è chiuso, ferito, irrigidito, e lo accompagna verso una trasformazione possibile. E si può scegliere la versione più adatta all’umore: l’interpretazione «classica» di Alastair Sim nel film britannico del 1951, la solidità televisiva di George C. Scott nell’adattamento del 1984, l’ironia familiare della versione Disney con Paperon de’ Paperoni nei panni di Scrooge, il musical pieno di cuore dei Muppet o ancora la rilettura animata di Robert Zemeckis del 2009 con Jim Carrey. Cambiano linguaggi e sfumature, ma il messaggio del racconto di Charles Dickens resta lo stesso: non è mai troppo tardi per rimettersi in contatto con gli altri.

Esempi più recenti

«Love Actually» invece, è il Natale come mosaico contemporaneo: un intreccio di storie sentimentali diverse, alcune leggere e altre più amare, che si sfiorano nella Londra delle feste. È il film ideale quando si cerca una compagnia «corale»: non pretende di raccontare un solo tipo di amore, e proprio per questo permette di riconoscersi in una situazione, in un personaggio, in una battuta. Il suo valore anti-tristezza sta nella varietà: anche quando mostra la fatica, lo fa con un ritmo brillante e con la sensazione che, in mezzo alle complicazioni, ci sia sempre uno spiraglio di tenerezza.

«Klaus», film del 2019 di Netflix
«Klaus», film del 2019 di Netflix

E se si vuole un Natale più delicato, quasi da fiaba d’autore, il film Netflix del 2019 «Klaus» è una scelta moderna che non ha bisogno di cinismo né di nostalgia. La storia parte da un postino viziato e mandato «in punizione» in una cittadina gelida e divisa, dove la guerra tra famiglie sembra eterna. L’incontro con un falegname solitario che costruisce giocattoli (ricorda qualcuno?) innesca una reazione a catena di gesti, lettere, piccoli cambiamenti. È un film che consola perché mostra il bene come contagioso, perché crede nella possibilità di ricominciare e perché lo fa con un’animazione calda, piena di dettagli, capace di avvolgere lo spettatore come una coperta.

Ma se la tristezza a Natale nasce proprio dal «troppo Natale» – troppe aspettative, troppa pressione, troppi ricordi – allora conviene cambiare strada e puntare su film non ambientati tra luci e renne, che però funzionano come ricarica emotiva. «Paddington» e tutti i suoi sequel sono l’esempio perfetto: un orso arrivato a Londra con una valigia e un’etichetta al collo, accolto da una famiglia normale e capace, con la sua educazione ostinata, di migliorare un intero quartiere. È un film che fa bene perché è gentile senza essere sdolcinato, e perché racconta la fiducia negli altri come qualcosa che si costruisce, non come un miracolo.

Dalla cucina a «Forrest Gump»

«Chef – La ricetta perfetta» porta lo stesso calore su un terreno concreto: la cucina, il lavoro, la voglia di ripartire. Uno chef molla il ristorante «ingessato» e si reinventa con un food truck, trasformando un fallimento in un viaggio, anche familiare. È un film che rimette energia perché parla di creatività e dignità, di amicizia e di piccoli gesti quotidiani, e perché è pieno di sapori e musiche che accendono l’appetito di vita. Un piccolo cult come «Little Miss Sunshine», al contrario, usa la commedia per attraversare una serie di fragilità: una famiglia disfunzionale, un concorso di bellezza, un viaggio in pulmino costellato di imprevisti. Eppure, proprio in quel caos, nasce un’idea rassicurante: non serve essere perfetti per restare uniti. È ideale quando ci si sente «sbagliati», perché difende i perdenti e dimostra che la tenerezza può arrivare nei momenti più improbabili.

Tom Hanks in «Forrest Gump»
Tom Hanks in «Forrest Gump»

«Forrest Gump» merita una menzione speciale per la sua leggerezza particolare: Forrest, interpretato dal premio Oscar Tom Hanks attraversa decenni e avvenimenti enormi senza cinismo, con uno sguardo semplice che non è stupidità, ma un modo diretto di stare al mondo. Non è una storia che elimina il dolore perché anzi lo sfiora più volte, ma lo rende attraversabile. In giornate tristi, quella forma di innocenza può diventare una pausa mentale preziosa: ricordare che si può andare avanti anche senza avere tutte le risposte. Per chi vuole fare un’incursione nel mondo dell’animazione, «Ratatouille» aggiunge un’altra qualità tipica dei feel good movies: la rivincita gentile. Nel film Pixar del 2007, un topo con un talento straordinario per la cucina e un ragazzo impacciato si alleano in un ristorante parigino, sfidando pregiudizi e gerarchie; il suo valore sta nel messaggio che arriva senza prediche: la passione può nascere ovunque, e spesso sono proprio gli «impossibili» a tirar fuori il meglio da noi. È un film che stimola, oltre a confortare, e che potete trovare facilmente su in streaming su Disney+.

Cinema come spazio protetto

Infine, un titolo forse meno conosciuto ma perfetto per questo scopo: «5 giorni fuori» del 2010 (e disponibile su varie piattaforme streaming) affronta la tristezza in modo più esplicito, ma con una delicatezza sorprendente. Un adolescente in crisi chiede aiuto e finisce ricoverato in un reparto psichiatrico: lì incontra persone diverse, storie spezzate e inattese forme di solidarietà. È un film utile a lenire la tristezza perché non romanticizza il dolore e non lo nega: lo mette in scena come qualcosa che si può nominare, condividere, e quindi alleggerire.

Quando le feste diventano un carico eccessivo, ricordare che chiedere aiuto è possibile è già, di per sé, un piccolo sollievo. Che si scelga un classico natalizio o un feel good movie «fuori stagione», l’idea resta la stessa: usare il cinema come spazio protetto, dove ridere, commuoversi e respirare senza dover dimostrare nulla. A volte basta questo per attraversare la giornata e, magari, scoprire che anche la tristezza può convivere con un po’ di calore.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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