Ghost Pitùr, il pittore anti-graffiti in fondo si comporta come un writer

Ci sono alcune scritte sui muri che diventano icone, pur non conoscendone la genesi, il significato o l’autore. In zona piazza Vescovado qualche anno fa c’era «Pop porno» (erano gli anni in cui in radio passavano l’omonimo brano di Il Genio). Su una curva a Lumezzane negli anni Novanta c’era «Ciao Gabibbo». Davanti al vecchio Bennet in Campo Grande qualcuno aveva risposto a una scritta romantica con un bel «Credega» (credici, ndr). E fino a poco tempo fa davanti alla scuola Calini in Carmine c’era un potente «No borders» accompagnato da un simbolo anarchico.
C’era, appunto. Perché una notte è passato Ghost Pitùr, il supereroe urbano che di notte ripulisce la città dalle brutture, e ha dato una bella mano di rosso mattone restituendo alla collettività una parete intonsa, pulita e ordinata. «Questo è un atto d’amore urbano», scrive l’imbianchino social (perché posta i video sui suoi profili) una volta ritinteggiati i muri.
Il bresciano Alessandro Mininno, cofounder dell’agenzia Gummy Industries e ora a Milano con Flatmates, segue il movimento del writing dall’inizio degli anni Duemila. Di graffiti e murales sui muri di Brescia ne ha visti parecchi. Ha assistito alla loro comparsa e scomparsa, cancellati dall’azione umana o dal trascorrere degli anni, ed è l’autore di «Graffiti Writing in Italy 1989-2021».
Com’è Brescia dal punto di vista dell’arte muraria?
Brescia è una normale città italiana. Ha una sua storia, che ha visto gruppi di writer alternarsi e avvicendarsi dall’inizio degli anni Novanta scrivendo illegalmente il loro nome sui muri e sui treni: per me questo è il cuore del writing, fatto di rischio, di illegalità, di competizione e di ricerca sulle lettere. Poi ci sono le scritte politiche, le frasi d’amore, i nomi dei Comuni bergamaschi e bresciani sulla caserma Papa. Non hanno a che fare con il writing, ma sono interessanti perché ci dicono cosa pensa la città (o una parte di essa). Da anni esistono associazioni che si occupano di disegnare in città, per committenza pubblica e privata. Questi due aspetti – illegalità e committenza – ci obbligano a riflettere sullo spazio pubblico e sul suo controllo. Di chi è il muro? Del Comune, del privato, dei ragazzi che scrivono o di tutti? Perché l’azienda municipalizzata deve decidere chi fa i graffiti sui ponti e chi no? Vogliamo che l’estetica della città sia decisa su basi economiche?
Al di là degli artisti coinvolti in maniera istituzionale, ci sono nomi da conoscere?
Il writing è un movimento dal basso. Non è interessante conoscere un writer specifico. La presenza del movimento nel suo complesso ci dice che in città esistono persone attive, che sono disposte a rischiare una multa o peggio, per scrivere il proprio nome. Se vediamo delle scritte in giro o sui treni dovremmo essere felici: significa che in città esistono energie positive, che andrebbero salvate e documentate. Ogni tanto (raramente) è anche possibile incanalarle in percorsi più convenzionali. Il problema del writing (e delle scritte) è che la gente non si ferma a leggere e non si ferma a capire. Il writing è considerato un sintomo di degrado, sicuramente crea un forte disordine visivo, ed è il facile bersaglio di molte campagne politiche. Potrebbe essere che sia una scusa, un capro espiatorio per non pensare ad altro.
Qual è la prima cosa che ha pensato quando ha visto i video virali di Ghost Pitùr?
Nella vita io faccio il pubblicitario e la prima cosa che ho pensato è che i video sono fatti bene: bravo! La seconda è che si comporta esattamente come un writer. Fa le cose a volto coperto, lavora di notte, decide che muri imbiancare ed è prepotente: Ghost Pitùr, esattamente come il writing, è la dittatura dei pochi che hanno il coraggio di uscire e prendersi la città, contro i molti che non lo fanno. Esattamente come un writer vuole essere famoso, offline e online, e fa di tutto per avere visibilità.
Lui però fa il contrario: cancella. Viene da chiedersi quale sia il confine tra arte e imbrattamento. Che di certo è molto labile e arbitrario, ma ci sono città come Berlino che hanno dimostrato come i tag e i graffiti possano diventare parte integrante dello spazio pubblico…
Cos’è un’opera d’arte nel ventunesimo secolo? Ha molto più a che fare con l’intento artistico che con la forma: se collocato in un museo, potremmo pensare che anche un orinatoio sia un’opera d’arte. C’è intento artistico nelle firme sui muri o nelle scritte Forza Internet? Nella maggior parte di casi credo di no. C’è lettering, c’è competizione, c’è riappropriazione dello spazio, c’è espressione di un pensiero. L’idea di una città pulita, una città a tinta unita, è un’idea ottocentesca e neoclassica, che non trova riscontro nella storia. Da Pompei a Londra le città sono sempre state lerce, sporche, scrostate e soprattutto scarabocchiate. Le scritte a Pompei sono preziose per ricostruire la dimensione sociale e il pensiero del tempo. Cancellarle sarebbe stata una perdita incredibile.
Le cancellazioni possono dunque essere rischiose dal punto di vista sociale e artistico o in qualche modo sono legittime? E c’è qualche legame con la politica? Nonostante, va detto, lo stesso Ghost Pitùr sui suoi canali si sia definito apolitico...
Chi scrive per strada sa che il suo operato, prima o poi, verrà cancellato: dal tempo, dagli agenti atmosferici, da altri graffiti, dal proprietario del muro o da un imbianchino più o meno fantasma. Va bene così. La domanda che dobbiamo farci è: che idea di città abbiamo? I writer e chi fa le scrittacce pensa che la città sia di tutti e che chiunque possa trovare il suo spazio ed esprimere il suo pensiero. Ghost Pitùr si colloca in una vasta corrente di cancellatori che pensano che la città debba essere a tinta unita. Solitamente sono gruppi che esprimono un pensiero di destra. Questa corrente comprende i gruppi retake, che fino a pochi anni fa si trovavano per cancellare i graffiti in diverse città. Per sbaglio cancellarono delle opere d’arte commissionate dal comune a Milano. Si scoprì che erano finanziati dai partiti di estrema destra. Comprende Mr Tuvs, il pulitore di Roma che è diventato virale su Instagram e su TikTok perché cancella i graffiti lungo il Tevere. E che collabora con diversi account Instagram che parlano di degrado. Un tema in apparenza trasversale, ma che è sempre stato il cavallo di battaglia di una certa parte politica. Per me l’attività dei cancellatori è legittima. Le cose che dobbiamo chiederci sono due: vogliamo una città che scrive oppure una città che cancella? E la seconda: che idea di città abbiamo? Rigida, omogenea e che si preoccupa dei graffiti, oppure disordinata, aperta e che pensa alle cose importanti?
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