Carme ospiterà un ciclo di tre conferenze sull’arte contemporanea

Tre appuntamenti, tre venerdì dedicati alla scoperta dell’arte contemporanea. È la proposta dell’Associazione «CARME», che ospiterà la prima rassegna sul tema, con «Creazione ed enigma. Tre squarci sul contemporaneo», ciclo di conferenze condotte dal professor Marcello Barison, docente di Estetica alla Libera Università di Bolzano e studioso di fama internazionale che salirà in cattedra negli spazi dell’ex chiesa dei Santi Filippo e Giacomo per un percorso di riflessione sul rapporto tra materia, corpo e oggetto nell’arte contemporanea.
L’appuntamento è sempre alle 20.30: si comincia dopodomani, venerdì 14, con «Burri preistorico. Sulle materie ancestrali dell’arte»; il 21 marzo è la volta di «Storia carnale del moderno. Da Rembrandt a Bacon» per concludere il 28 marzo con «Oltre l’oggetto. Arte della sparizione o sparizione dell’arte». La partecipazione ha un costo di 10 euro per il singolo incontro o 25 euro per l’intero ciclo. I posti sono limitati e la prenotazione è obbligatoria sul sito carmebrescia.it.
Professore, ripercorriamo il contenuto delle tre lezioni che ci aspettano...
Anziché tracciare una parabola storiografica complessiva, le tre lezioni compiono tre carotaggi volti ad approfondire la composizione stratigrafica – quindi insieme storica, concettuale, materiale e iconologica – di tre territori specifici. Il primo concerne l’opera di Alberto Burri, artista al contempo modernissimo e primordiale. Dirompente innovatore, tant’è che la sua opera è stata identificata fin da subito con un momento di drastica rottura rispetto all’arte tradizionale.
Quando Palma Bucarelli, che dirigeva allora la Galleria Nazionale, fece esporre il primo sacco, vi fu un’indignata interrogazione parlamentare (a firma Terracini!) e «Lo Specchio» arrivò a titolare polemicamente (con toni per la verità estremamente volgari): La signorina ama gli stracci. E tuttavia – e su questo ci soffermeremo maggiormente – Burri è anche primordiale. Per l’ostinata fedeltà a un’arte che ha in sé stessa, nella coerenza del proprio formalismo espressivo, la propria ragion d’essere, arrivando addirittura a dire (cosa che pochissimi oggi oserebbero sottoscrivere): «Le parole non significano niente per me, esse parlano intorno alla pittura. Ciò che io voglio esprimere appare nella pittura».
Volendo scendere un po’ più nel dettaglio, affronteremo la primordialità di Burri riconducendola al modo in cui si confronta coi materiali, come se si trattasse di riscrivere la storia dell’arte a partire dalle sue ‘materie prime’: legno e metallo, tessuti e impasti, come in un’officina preistorica.
La seconda lezione si occupa invece di corporeità, ma partendo da qualcosa di molto concreto: il tema della carne macellata che inquieta la storia della pittura fin dall’affresco romano, ma che nella modernità (da Carracci a Rembrandt, per intenderci) acquisisce un significato peculiare, identificandosi col bue squarciato che, disposto a croce, diviene evidente icona cristologica – con tutto il carico di significati che questa associazione comporta – e compare in esempi anche recentissimi, come Francis Bacon, Hermann Nitsch o Damien Hirst.
Infine, come ultimo affondo, gli sviluppi più recenti dell’arte digitale, ragionando sullo NFT, che in quanto oggetto appunto ‘non-fungibile’ porta per certi versi a compimento quel percorso di sparizione materiale dell’opera che già i romantici avevano intravisto e che ha trovato nella cosiddetta arte concettuale un punto di svolta forse irreversibile. Per certi versi, proprio l’opposto di quanto invocava Burri.
Il titolo della rassegna richiama il concetto di «enigma» e da molti effettivamente l’arte è considerata spesso di difficile comprensione. Cosa rappresenta per lei l’enigma nell’arte?
Riferita all’arte, «enigma» è espressione inevitabilmente adorniana: «Tutte le opere d’arte e l’arte nel suo insieme sono enigma». Quest’idea allude soltanto superficialmente al fatto che le opere d’arte siano di difficile comprensione, perché se così fosse si tratterebbe solo di spiegarle, che può apparire compito arduo mentre si tratta di un’ambizione forse troppo poco radicale. Il punto, infatti, non è decifrare l’enigma, ma renderlo esperibile in quanto tale. Parlare d’arte non significa chiarificare il presunto contenuto delle opere, ma invitare chi ne fa esperienza a connettersi con la forza del mistero che da esse scaturisce. In qualche modo il discorso sull’arte deve concedere all’opera di manifestarsi secondo la sua forma, non forzarla per assumerne un’altra, quella del discorso che si esprime – talora, peraltro, piuttosto goffamente – in parole.
Quali strumenti offre l’arte contemporanea per comprendere il mondo?
Partirei dal fatto che l’arte contemporanea è un pezzo di mondo e quindi ha per forza a che fare con ciò di cui è parte: ne è espressione, porta le ‘cicatrici spirituali’ dell’epoca che l’ha resa possibile. Ponendo la questione solo in questi termini, si rischia tuttavia di ridurre l’opera d’arte a prodotto sociologico, o, quando va bene, dello Zeitgeist, dello spirito del tempo. Non è più interessante rovesciare la prospettiva e sforzarsi di cogliere ciò che dell’opera è perenne? In fin dei conti se continuiamo a emozionarci davanti a Fidia o leggendo Cavalcanti, non è perché queste opere siano (com’è del resto innegabile) legate al loro contesto, ma perché sono tutt’ora in grado, e questo nonostante la contingenza del loro ‘ambito genetico’, di sprigionare una forza e una dimensione di senso talmente significative da riguardare in modo essenziale quel che anche oggi siamo.
Ecco, forse l’arte – che, se è davvero arte, è sempre contemporanea anche quando le assegniamo una determinata collocazione nel passato – dice qualcosa del mondo solo quando contribuisce a generarlo. Quando cioè ci si rende conto che non è tanto l’opera a essere prodotta da un certo mondo storicamente collocato, ma che non potremmo accedere all’attualità e alla concretezza del nostro mondo senza quell’opera, che cioè l’opera diviene essenziale per poter dire di star davvero avendo un’esperienza del proprio tempo e di sé nel proprio tempo. Ma a questo, appunto, può concorrere allo stesso modo un’opera di Kiefer, di Marino Marini o Masaccio. Il tempo esteriore non è a riguardo un fenomeno in fin dei conti così significativo...
Le recenti sperimentazioni portano sempre più verso un’arte digitale, site specific e autogenerativa. In che modo il digitale sta ridefinendo il concetto di arte?
Prima di poter rispondere dovremmo aprire un dibattito serio il cui punto di partenza non può limitarsi ad essere: l’arte digitale esiste perché oggi in molti la fanno, la esibiscono e la chiamano arte. Io comincerei con una semplice constatazione che, nella sua banalità, nasconde però un problema teorico tutt’altro che irrilevante. Tra le Grotte di Lascaux e Picasso o Klee, non c’è, quanto alla forma generale del fenomeno che vediamo e chiamiamo arte, alcuna differenza tipologica sostanziale. Il che significa che dal Paleolitico superiore all’altro ieri l’arte è stata un fenomeno, pur con tutte le evidenti differenze, complessivamente unitario e omogeneo.
Se penso allo NFT, cioè a un atto di proprietà scritto su Blockchain, mi rendo immediatamente conto che questo ha poco o nulla a che fare tanto con Lascaux che con Picasso o Paul Klee. Il fatto di usare una stessa parola, ‘arte’, risulta allora fuorviante, perché sarebbe come chiamare tablet un papiro egizio con la giustificazione che entrambi possono essere usati per scriverci sopra. Forse dovremmo guardare a questi fenomeni con qualche pretesa teorica in più ed evitando di giustificarli a priori solo perché questo giustifica il contesto socio-culturale in cui viviamo e, in fin dei conti, serve a rassicurarci circa la nostra appartenenza ad esso.
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