Franco Rinaldi: «A Brescia manca un museo d’arte contemporanea»

Giulia Camilla Bassi
Per l’artista le opere «possono esistere solo grazie allo sguardo di chi le osserva»: ecco perché nel tempo le ha donate all’Ateneo, all’UniBs e al Vittoriale, tra gli altri, come racconta in questa intervista
  • L'arte di Franco Rinaldi
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Alda Merini, per cui disegnò la copertina per «La vita facile», definì le sue composizioni «belle, strategiche e felici», descrivendone in sole tre parole la lirica di rara delicatezza che da sempre ne caratterizza la ricerca artistica. L’artista bresciano Franco Rinaldi è un poeta generoso, capace di incantare con il suo surrealismo magico, che sonda in profondità l’animo umano.

La recente esposizione «Segni Incisi», nata dalla donazione dell’artista all’Ateneo di Brescia, ha rappresentato un’occasione unica per raccogliere il corpus derivante dalla lunga e originale sperimentazione nel campo dell’arte grafica, che ha portato Rinaldi anche al MoMA di New York per la rassegna «The artist and the book in Twentieth-Century Italy». Gli abbiamo chiesto un bilancio dell’esperienza.

Franco Rinaldi, come è nata la donazione all’Ateneo?

La donazione è nata dall’esigenza di riunire tutto il mio lavoro grafico dal 1982 fino al 2020, anno in cui ho smesso di produrla. Ho fatto questa proposta all’Ateneo, che subito l’ha accolta con grande interesse. Il fondo Paolo Tosio raccoglie migliaia di opere grafiche strepitose e l’idea di potere appendere le mie nello stesso luogo è una grande emozione.

Ha donato altre opere ad istituzioni bresciane?

La donazione di circa 150 opere all’Ateneo segue quella all’Università Statale di Brescia, a cui ho donato quattro opere di grandi dimensioni, una per ogni dipartimento. L’unica cosa che ho chiesto espressamente è che rimanessero sempre visibili agli studenti. Per me le opere possono vivere solo grazie allo sguardo del fruitore. È un grande privilegio sapere che questi ragazzi potranno modificare le mie opere guardandole, perché l’occhio dell’osservatore modifica il contenuto dell’opera, donandole vita propria nel tempo in cui vivono. Tra qualche anno verranno guardate con occhi diversi e avranno ancora vita nuova.

C’è stata anche la grande mostra al Vittoriale degli Italiani...

Nel 2022 ho donato al Vittoriale una serie di opere, in particolar modo libri d’arte, in occasione della mostra a Villa Mirabella. Sono libri unici, completamente dipinti e ognuno contiene un gran numero di disegni. Li ho donati perché certi cicli hanno bisogno di rimanere – come degli amici – uno accanto all’altro. Mi piaceva l’idea che potessero farlo al Vittoriale. In occasione della mostra è stato edito anche un libro catalogo dal titolo «Il Viaggio di Ulisse» in cui le poesie di D’Annunzio si accostano ad alcune mie opere. Sono queste esperienze emozionanti che giustificano il fare arte. L’arte dal mio punto di vista ha un contenuto criptico, non è subito intuibile, ma è sottotraccia e vive nel tempo. Come se si gettassero dei semi oggi, non sapendo quali fiori nasceranno, ma con la sicurezza che prima o poi qualcosa fiorirà. Questo per l’artista è motivo di vita. Eppure, io vorrei scomparire, non è importante la mia presenza nell’opera – ecco perché firmo quasi esclusivamente sul retro – ma l’emozione simbiotica che nasce con lo spettatore.

Come reputa il panorama artistico bresciano?

A Brescia manca un museo d’arte contemporanea (come aveva sottolineato anche Riccardo Angossini di The Address, ndr). Per riprendere la metafora floreale, è come se tutti noi artisti fossimo dei fiori che nascono a caso, senza una vera collocazione dell’ambiente in cui fioriscono e vivono. Diventa quindi importantissima l’esistenza di un luogo in cui crescere e dibattere, dove creare una sorta di comparazione in cui l’artista si può misurare accanto ad esperienze anche molto più forti. È sbagliato parlare solo di arte, ma, piuttosto, delle arti: non c’è separazione tra teatro, musica, arti figurative, poesia e letteratura. Sono in armonia e non bisogna separarle. A Brescia ci sono grandi collezioni d’arte e tanti bravi artisti, ma hanno avuto cammini frammentati e non dialoganti tra loro. Mancano forse intellettuali e critici che facciano fiorire il campo delle arti, amalgamando tra di loro le diverse esperienze. Non vorrei essere scortese, ma a Brescia la strada è ancora lunga per far sì che questa cosa accada, ma confido nelle prossime generazioni.

Cosa significa fare poesia con l’arte?

Ogni tanto i poeti suonano alla mia porta per collaborazioni e questo mi rende orgoglioso. Le opere non fanno altro che mostrare la poesia. La poesia «immagina immagini» – se mi permette il gioco di parole –, l’arte invece la mostra visivamente. La poesia coglie un aspetto dell’animo umano che non è dicibile in altri modi, l’arte coglie un aspetto della poesia che non è dicibile se non mostrandolo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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