Strage piazza Loggia, Giacomazzi: «Sparito uno dei miei diari»

Collegamenti tra i mandanti condannati con sentenza definitiva all’ergastolo e la fase esecutiva, con l’ultimo miglio percorso dalla bomba esplosa il 28 maggio 1974.
Li ha forniti in aula Ombretta Giacomazzi nel corso del processo in Corte d’assise a carico di Roberto Zorzi, il neofascista veronese a accusato di aver partecipato all’esecuzione della strage di piazza della Loggia. La teste chiave dell’inchiesta, sentita per la seconda volta in aula in poco più di una settimana, rispondendo alle domande dei difensori di parte civile ha confermato verbali di testimonianze raccolte dal generale Massimo Giraudo nel corso delle indagini.
Rispondendo all’avv. Silvia Guarneri in particolare compie il riconoscimento di Maurizio Tramonte, condannato per aver preso parte alla riunione nella quale i vertici di Ordine Nuovo ad Abano Terme decisero l’attentato di piazza della Loggia, e quello di Giangastone Romani, il padrone di casa dell’albergo nella località termale patavina dove il 25 maggio di quell’anno si tenne l’incontro dal quale la giustizia, per sentenza incontrovertibile, fa discendere la decisione della strage.
Tramonte - ha ribadito Giacomazzi - era un frequentatore dell’appartamentino di via Aleardo Aleardi dove il suo fidanzato, Silvio Ferrari, incontrava il cap. Francesco Delfino ed i suoi uomini e dove con gli investigatori dell’Arma scambiava foto, documenti, denaro. Quando a Giangastone Romani, la testimone, ha confermato quanto disse a chi la interrogava, ovvero che lo collegava proprio allo stesso capitano Delfino.
Nel corso dell’udienza, inoltre, è emersa un’altra circostanza in grado di gettare ombra sulla genuinità delle indagini fatte all’epoca. Ombretta Giacomazzi si è detta certa - confortata in questa certezza dai magistrati che lo hanno cercato senza successo - della sparizione di uno dei suoi diari, di quello in particolare sul quale annotava tutto quello che faceva con Silvio Ferrari, nei mesi del loro «flirt». «Mi venne sequestrato il giorno stesso della strage - ha detto la testimone - e non mi è più stato restituito. Ci avevo scritto i nomi, i viaggi e le riunioni nelle caserme di Verona», il resoconto delle settimane che precedettero la morte del fidanzato, dilaniato dalla bomba che stava trasportando la notte del 19 maggio di quell’anno.
Giacomazzi è tornata anche sulle pressioni che nel corso delle indagini le fece l’allora capitano Delfino. E delle cose che il comandante del Nucleo investigativo dell’Arma incaricato delle indagini la costrinse a dire per evitare carcerazioni. «Mi costrinse ad accusare anche Mauro Ferrari, di coinvolgere anche il fratello di Silvio. Alla fine mi fece dire un sacco di cose non vere».
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