Processo Strage: «Zorzi a Brescia con l’auto dei camerati»

Secondo il generale del Ros Giraudo la Dyane 6 «era utilizzata anche da Maggi». Accusato della fase esecutiva, l’imputato «scappò in Grecia quando capì che tirava brutta aria»
Il generale del Ros Massimo Giraudo oggi in aula - © www.giornaledibrescia.it
Il generale del Ros Massimo Giraudo oggi in aula - © www.giornaledibrescia.it
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Una Citröen Dyane 6 di quell’azzurro sbiadito, candeggiato. Un’auto povera di cavalli, capace di toccare i 110 km/h, ma solo in discesa. Una vettura operaia, diventata iconica una volta uscita di produzione. Un mezzo che a Verona e nei suoi dintorni, tra il 1973 e il 1974, fungeva da ammiraglia dei fascisti di vecchia e nuova data: di Elio Massagrande, che ne era il legittimo proprietario, ma anche di Roberto Zorzi, visto alla sua guida da diversi testimoni chiamati negli anni a raccontare quello che sapevano sulla strage di piazza della Loggia.

L’auto del capo

Quella Dyane per l’accusa privata, in particolare per l’avvocato di parte civile Silvia Guarneri, è la prova che il neofascista veronese accusato dell’attentato che il 28 maggio del 1974 provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102, era in stretto contatto con i vertici di Ordine Nuovo (Massagrande appunto), al punto da utilizzare spesso la sua vettura; ma anche con Brescia, visto che a Brescia fu visto proprio su quella utilitaria francese targata Verona.

Alcune conferme al proposito l’avvocato Guarneri le ha ottenute controesaminando il generale del Ros dei Carabinieri Massimo Giraudo, in aula per la quarta volta consecutiva. «Quell’auto – ha spiegato ai giudici della Corte d’assise l’investigatore cui la procura di Brescia ha chiesto la ricerca sul campo delle prove per ricostruire origine, mandanti ed esecutori della strage – era in uso ai camerati. Era quella sulla quale viaggiava Carlo Maria Maggi, quando andava a Verona, e che usava anche Roberto Zorzi. Fu trovata tra i cespugli nella corte del palazzo veronese dove viveva la sua ragazza dell’epoca. Ci sono elementi per ritenere inoltre che quella Dyane fosse a Brescia la sera che Silvio Ferrari saltò per aria con la sua Vespa, che proprio quell’auto stesse seguendo il giovane bresciano prima dell’esplosione e che al suo interno vi fosse anche Roberto Zorzi».

Lo pseudonimo

La circostanza, come ha ricordato Giraudo, sarebbe inoltre confermata dalle parole di Ermanno Buzzi che parlò di quella vettura come dell’automobile di tale Tony Pasetto. Si tratta di un nome di fantasia dietro al quale, per gli inquirenti, si nasconderebbe proprio Roberto Zorzi «che di secondo nome fa proprio Antonio, da cui il diminutivo Tony – ha spiegato il generale del Ros – e che da Pasetto, uno degli esponenti di spicco dell’ordinovismo veneto dell’epoca, potrebbe aver tratto ispirazione per il cognome».

Roberto Zorzi in una foto degli Anni '70 - © www.giornaledibrescia.it
Roberto Zorzi in una foto degli Anni '70 - © www.giornaledibrescia.it

La mappa

L’avvocato Michele Bontempi ha cercato di far emergere altre circostanze che potrebbero avere un peso indiziante nei confronti dell’imputato venunenne all’epoca della strage e da tempo allevatore di dobermann negli Stati Uniti. Il difensore di parte civile è partito dal giugno di quell’anno, dagli interrogatori a Roma con il giudice Occorsio, che stava indagando sulla ricostituzione del partito fascista. «Zorzi – ha spiegato Giraudo rispondendo – fu convocato a Roma, ma marcò visita. Andò suo padre che lo giustificò, dicendo che era in Germania a seguire i mondiali di calcio. Zorzi si presentò spontaneamente una settimana dopo per dire che non aveva nessun legame con Ordine Nuovo e che aveva solo alcuni amici legati a quell’ambiente».

In Grecia

Affermazioni che per l’avvocato Bontempi sarebbero smentite dalla stessa scelta del difensore dell’epoca. «L’avvocato di Zorzi in quel periodo era Mario Martinelli – ha spiegato Giraudo rispondendo alla domanda del legale – uno degli storici fondatori di Ordine Nuovo». Il generale dell’Arma ha inoltre ricordato che «subito dopo l’interrogatorio con Occorsi, Zorzi ripiegò in Grecia» luogo di elezione per gli estremisti di destra quando per loro iniziava a tirare una brutta aria e che «a Brescia accompagnò il camerata veronese Pierangelo De Bastiani, che rimase latitante una ventina di giorni a casa del geometra Tartaglia, noto per le sue simpatie neofasciste».

Roberto Zorzi, secondo l’accusa privata, frequentava Brescia per diverse ragioni. «Stando al testimoniale – ha proseguito Giraudo – di Brescia portava con sé una cartina topografica» circostanza che le parti civili ritengono particolarmente indiziante della sua partecipazione alla fase esecutiva. L’udienza di oggi, con le domande degli avvocati Andrea Ricci, Fausto Cadeo, Pietro Garbarino, Federico Sinicato e Paolo De Zan si è occupata anche del capitano Delfino, del ruolo del generale del Ros Mario Mori, di Nato e servizi segreti. Il processo è stato aggiornato al 4 febbraio. In aula di nuovo Giraudo, a fare domande questa volta sarà la difesa.

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