Strage piazza Loggia, Avezzù: «Condanna di Toffaloni doverosa»

Lei Marco Toffaloni lo aveva anche incontrato. Un faccia a faccia durato pochi minuti. Giusto il tempo per l’ex minore diventato adulto di far mettere a verbale che si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere. «Era arrivato con l’avvocato di fiducia, si è seduto davanti a me e la collega svizzera e dopo un attimo si è alzato».
Il primo silenzio
É febbraio 2015 quando Emma Avezzù, all’epoca procuratore dei minori, va di persona a Berna per interrogare l’ex estremista di destra che due giorni fa il tribunale minorile di Brescia ha condannato a 30 anni per la Strage di Piazza della Loggia come uno degli esecutori dell’attentato neofascista. «Diciamo che il silenzio di Toffaloni dentro di me aveva avvalorato la tesi di una sua responsabilità» svela oggi Avezzù che nel 2019 ha lasciato il vertice della procura dei minori della città per guidare quella di Torino.
«Sono molto soddisfatta della nuova sentenza su Piazza Loggia. Quell’inchiesta è stata una faticaccia» ricorda Avezzù che aprì il fascicolo su Toffaloni nel 2011. «L’indagine inizia con le dichiarazioni di Stimamiglio che chiama in causa Toffaloni e cita quel "ghero anca mi" che – spiega Emma Avezzù - il veronese gli aveva riferito parlando della mattina del 28 maggio 1974 a Brescia».
L’inizio dell’inchiesta
E proprio nel 2011 Toffaloni, cittadino svizzero dal 1984, torna in Italia. «A Verona per le vacanze di Natale» ricorda l’ex procuratrice dei minori di Brescia. «I carabinieri gli stavano dietro, lo fermano e gli notificano l'avviso di garanzia e l’ invito a presentarsi. Lo convochiamo in procura a Brescia, ma lui prende il treno e rientra in Svizzera. Credo non sia mai più tornato in Italia perché pensava che ci fosse un ordine di cattura».
La svolta
L’inchiesta sull’ex minore legato alla destra estrema si blocca nel 2013. «Ero stata costretta a chiedere l’archiviazione, non perché non ci credessi, ma perché stavano scadendo i termini e la storia della fotografia che dimostra la presenza di Toffaloni in piazza non era ancora venuta fuori» ricostruisce Avezzù. Poi la svolta un anno più tardi. «La teste chiave Ombretta Giacomazzi continuava la sua testimonianza in procura ordinaria e nel frattempo un consulente abruzzese conferma che il ragazzo fotografato pochi minuti dopo lo scoppio dell’ordigno la mattina del 28 maggio è proprio Toffaloni. A quel punto chiediamo la riapertura delle indagini che non si fermano più».
E arrivano fino in aula per un processo che si è chiuso con la condanna a 30 anni, il massimo della pena per un processo minorile. Ma la Svizzera ha già detto no all’estradizione perché ritiene prescritto il reato. «Bisogna aspettare la sentenza definitiva e poi anche se non fosse più cittadino elvetico bisogna capire se comunque lo possono estradare per un reato che per loro è prescritto. Dopodiché -conclude Avezzù - anche se la pena non sarà mai effettiva, credo che sotto il profilo della ricerca della verità e anche della storia la sentenza sia molto importante»
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