Sos per gli infermieri, nel Bresciano ne mancano mille

Dici infermiere e pensi a una stanza d’ospedale in cui c’è una persona in divisa che controlla la flebo, esegue i prelievi e si prende cura, anche umanamente, del paziente ricoverato. La realtà, però, è ben diversa. Non esiste infatti solo l’infermiere di reparto al quale l’immaginario collettivo il più delle volte rimanda: la professione, nel tempo, ha assunto mille volti, la cui importanza è sempre più strategica. Lo fanno notare anche la presidente dell’Ordine di Brescia Stefania Pace e il consigliere Roberto Ricci evidenziando che «il modello assistenziale moderno (che vede la sanità uscire dagli ospedali e dare risposte direttamente sul territorio, ndr) regge sulla figura dell’infermiere». Peccato, però, che nel Bresciano ne manchino all’incirca mille.
Da qui, quindi, l’appello ai giovani affinché si interessino a una professione che, come sottolinea sempre la presidente Pace, «offre l’opportunità di essere utili per gli altri, ma è anche molto arricchente dal punto di vista personale».
Ruoli diversi
Mille volti, si diceva. È infatti un infermiere il «case manager» che, sulla base di competenze cliniche e organizzative maturate con una formazione post-base e con l’esperienza, «gestisce il caso» diventando il punto di riferimento del paziente in ogni fase del percorso ospedaliero (sospetto, diagnosi, cura, follow up...). Esempi di «case manager» si possono trovare nelle Breast Unit. È un infermiere anche il «bed manager» nato negli ospedali ai tempi bui del Covid: come spiegano Pace e Ricci, questa figura coordina il flusso dei pazienti in entrata e in uscita, conosce in tempo reale il numero di letti disponibili nei vari reparti, è in contatto con i colleghi degli altri ospedali e ha il prezioso compito di collocare il paziente in maniera appropriata.
Ospedale e territorio
Esiste, poi, l’infermiere di ricerca che gestisce e facilita gli studi clinici. L’ambito della ricerca, così come quello della didattica, vede infatti coinvolti anche gli infermieri: un dottorato ad hoc, il primo in Lombardia, sta per partire all’Università di Milano-Bicocca. E ancora: ci sono l’infermiere strumentista, l’infermiere stomaterapista (che è addetto alle stomie e dispone di un ambulatorio ad hoc in ospedale), quello specializzato in wound care (lesioni di natura vascolare) e l’infermiere delle cure palliative (attivo negli hospice e a domicilio). Senza dimenticare una figura chiave della riorganizzazione della sanità sul territorio come l’infermiere di famiglia e di comunità (Ifec) che, come sottolineano Pace e Ricci, «lavora nelle nuove Case di comunità, a contatto con i medici di base, gli specialisti e gli assistenti sociali con lo scopo di intercettare, sul territorio, i bisogni dei pazienti e delle loro famiglie e attivare risposte come l’assistenza domiciliare integrata (Adi) e i servizi degli assistenti sociali. Ma anche entrare nelle scuole per svolgere progetti di educazione ai corretti stili di vita e per fornire un supporto alla gestione delle terapie di cui necessitano alcuni alunni». Figura chiave, si diceva, così come quella dell’infermiere degli Ospedali di comunità, strutture ponte tra ospedale e domicilio a condizione prevalentemente infermieristica.
In aggiunta c’è tutto il capitolo della libera professione: sono sempre di più, infatti, gli infermieri «imprenditori di se stessi».
I posti per la formazione

In questo scacchiere di ruoli (in buona parte nuovi) da occupare, la formazione (soprattutto quella post-base) è fondamentale. Brescia può contare sull’Università Statale (che opera in sinergia con le Asst del territorio e propone il corso di laurea triennale e il corso magistrale) e sull’Università Cattolica (che collabora con la Poliambulanza e offre un percorso triennale, oltre a master post-laurea e corsi di perfezionamento). In UniBs i posti per la triennale sono 100 a Brescia, 45 a Chiari, 51 a Desenzano, 40 a Esine, 65 a Mantova, 62 a Cremona e 30 ad Alzano Lombardo.
La prova di ammissione avrà luogo il 5 settembre al Centro Fiera di Brescia (per info: www.unibs.it). In Cattolica i posti sono 95 e il concorso si svolgerà in remoto il 6 e il 7 settembre (www.unicatt.it).
«Purtroppo - osservano Pace e Ricci, che oltre ad essere consigliere dell’Ordine insegna all’Università Cattolica -, soprattutto dopo il Covid, i posti delle università italiane disponibili per gli aspiranti infermieri non vengono occupati tutti. Per l’ammissione all’anno accademico 2022-2023 c’erano 1,3 candidati per ogni posto; l’anno successivo si è scesi a 1,1. E in Lombardia gli iscritti alle selezioni sono diminuiti del 13%. Non è così per la formazione post-base: stando all’ultima rilevazione nazionale, sono stati contati 6,3 iscritti per ogni posto a disposizione. A dimostrazione che, tra coloro che hanno già iniziato il percorso, la voglia di specializzarsi c’è».
Tra i giovani, invece, la professione ha perso appeal. Le ragioni? «Stipendio inadeguato - spiegano Pace e Ricci -, poche opportunità di carriera orizzontale e modelli organizzativi ancora poco all’avanguardia».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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