Omicidio Bozzoli, Maggi verso il verdetto: le verità di difesa e accusa

Le ultime memorie prima del verdetto del 17 dicembre. Termine ultimo, giovedì. Quando la difesa di Oscar Maggi e il pubblico ministero Benedetta Callea dovranno depositare al giudice un atto per inquadrare e mettere nero su bianco il loro punto di vista.
Per l’avvocato Vera Cantoni, l’operaio che l’8 ottobre 2015 riaccese il forno della fonderia di Marcheno dopo la fumata anomala, non ha ucciso Mario Bozzoli e non era nella zona forni al momento dell’omicidio. Per l’accusa invece è colpevole e deve essere condannato a 30 anni.
Ricostruzioni diametralmente opposte, anche se il pubblico ministero nel corso della sua discussione in aula non ha individuato un movente e non avrebbe dato risposta ai quesiti che oggi, a distanza di dieci anni, sono ancora aperti in merito al caso Bozzoli.
Dove e come è stato aggredito l’imprenditore? Come è stato gettato nel forno dove, per la giustizia italiana, è morto per mano del nipote Giacomo condannato in via definitiva all’ergastolo? Le parti affidano a una memoria il loro pensiero dopo aver parlato in aula a porte chiuse: poco più di un’ora l’accusa, oltre sei la difesa.

L’avvocato di Oscar Maggi si affida alla giurisprudenza per smontare pezzo per pezzo – e mettere in dubbio anche l’esperimento giudiziale (con il maialino gettato in un forno) effettuato nel processo di primo grado a Giacomo Bozzoli – il castello accusatorio che si poggia sulla condanna al nipote dell’imprenditore di Marcheno e sulle motivazioni che coinvolgono, con l’accusa di concorso in omicidio, l’operaio che nella prima inchiesta di dieci anni fa venne archiviato.
«Perché solo Maggi?» è la domanda attorno alla quale ruota la ricostruzione dei difensori del 48enne imputato. Secondo i quali quella sera di inizio ottobre 2015 Maggi ha sì riattivato i forni dopo la fumata (il momento in cui per i giudici Mario Bozzoli è finito nel bagno di metallo fuso del forno da fonderia), ma altri hanno lavorato a quell’impianto già da un’ora dopo – tempo ritenuto incompatibile con la distruzione di un corpo – e altri ancora sarebbero stati registrati al telefono dagli inquirenti nelle settimane dopo l’omicidio mentre invitavano il loro interlocutore a non parlare «perché siamo intercettati».

Così come era intercettato Maggi quando, uscendo dalla caserma dei carabinieri dopo ore di interrogatorio al collega Abu, disse che dovevano trovare la casa dell’altro addetto ai forni, Beppe Ghirardini «perché se Beppo dice qualcosa di sbagliato siamo tutti rovinati».
La pm, Benedetta Callea, con la memoria scritta che depositerà giovedì, vuole a sua volta reagire alle argomentazioni messe sul tavolo dalla difesa senza mai dimenticare che a inchiodare l’operaio c’è pur sempre una sentenza passata in giudicato che lo ritiene il complice di Giacomo Bozzoli, l’omicida dello zio e in carcere da luglio 2024.
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