CronacaBassa

Bergamini: «Le nutrie sono un incubo che svuota i nostri canali»

Gianantonio Frosio
Il presidente del Consorzio d’irrigazione di Leno lancia l’allarme: tra frane, incidenti e interventi urgenti, servono soluzioni più efficaci
Un esemplare di nutria - © www.naturfoto.cz
Un esemplare di nutria - © www.naturfoto.cz
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Lui ne farebbe volentieri a meno. Ma le nutrie riempiono parte della sua giornata: lo perseguitano, costringendolo a dedicare un po’ di tempo anche a loro. È che, da presidente del Consorzio d’irrigazione dell’Università delle acque di Leno, tra le tante cose che deve fare Simone Bergamini ha pure la seccatura di contrastare le nutrie, così da arginare i danni che questi roditori d’importazione causano all’agricoltura, e non solo a quella.

«Sono dappertutto – dice col piglio di chi non si dà per vinto –. Un incubo e una calamità: innanzitutto per i canali di irrigazione, ma anche per la viabilità. Nei giorni scorsi, mentre ero in auto ho rischiato l’incidente a causa di una nutria. Il mio non è un caso isolato. Le strade della Bassa sono un cimitero: carcasse ai lati e in mezzo alla strada. Dove c’è un filo di acqua, loro sono lì».

Una nutria
Una nutria

Il fatto è, continua Bergamini, «che questi animali sono un problema per la tenuta dei canali: scavando come forsennate bucano gli argini, e a noi tocca il compito di ripristinare le sponde di fossi e rogge che, a causa dei tunnel delle nutrie, perdono stabilità e franano. Tra l’altro, le azioni di ripristino che mettiamo in atto non sono risolutive: tamponata una falla, le nutrie ne aprono un’altra».

Spese

Insomma: anche se hanno un’andatura goffa e un musetto a metà tra il castoro e il capibara, questi roditori sono una iattura da combattere. Già, ma come?

«Stabilizziamo i canali con palificazioni in castagno – assicura il presidente –. Ma è un palliativo, perché le nutrie scavano dietro la palizzata. Oppure, visto che non si affezionano a un territorio, quando conficchiamo i pali in un tratto di canale loro si spostano a monte o a valle. Bisogna poi considerare che le palizzate sono costose: tra materiale e manodopera siamo sui 20.000 euro ogni cento metri lineari. Mettere in sicurezza 100 metri di un canale costa 40.000 euro, perché i lati da bonificare sono due. Sicuramente le palizzate hanno un costo superiore rispetto alla soppressione».

Già, la soppressione... «Facciamo azioni di contenimento con le gabbie – spiega Bergamini –, ma questa forma di controllo non è molto incisiva. Troppo lenta e, soprattutto, poco efficace: per ogni nutria presa, 9 rimangono in libertà e continuano a far danni. Il 10% di catture è una percentuale troppo bassa per considerare significativi i risultati ottenuti. Bisognerebbe dare ai cacciatori, o a chi per loro, la possibilità di sparare. Anche qui, però, ci sono problemi».

Cioè? «La raccolta delle carcasse, ad esempio, che vanno sotterrate. L’Asl storce il naso: dice che inquinano. Ammesso che sia vero, l’eventuale alterazione riguarderebbe solo la prima falda, quella che non viene utilizzata nelle case, tanto meno viene bevuta».

Gli operatori

L’esercito delle nutrie conta ben duemila operatori faunistici. Sono sparsi nei Comuni bresciani, formati, autorizzati e pronti a intervenire lungo canali, rogge e campi. È una rete che permette di affrontare una popolazione stimata tra 80 e 200mila esemplari, con 20-40mila abbattimenti l’anno, e che dà sostanza ai piani di contenimento. La forbice così ampia dipende dai diversi metodi di rilevazione e dalla rapidità con cui la specie si sposta, fattori che rendono complessa una stima puntuale delle presenze.

Nutrie al margine di un canale per l'irrigazione dei campi - © www.giornaledibrescia.it
Nutrie al margine di un canale per l'irrigazione dei campi - © www.giornaledibrescia.it

Per entrare nell’albo provinciale serve in primo luogo la formazione. Poi, superare una prova teorica sulle modalità di intervento, sulla sicurezza e sulle procedure stabilite da Regione e Ispra. Una volta abilitati, sono i sindaci ad autorizzare l’attività sul territorio comunale: solo così gli operatori possono agire nelle zone critiche, in squadra o individualmente. Chi possiede il porto d’armi interviene nei contesti che richiedono l’uso dell’arma; chi non lo ha utilizza le gabbie fornite dalla Provincia, numerate e censite, collocate nei punti più sensibili.

Dentro questo sistema convivono profili diversi: cacciatori abituati a muoversi sul territorio, agricoltori che conoscono ogni canale dei propri poderi e volontari che offrono tempo e competenze tecniche. Una pluralità che, spiegano dalla Provincia, è la vera forza del modello bresciano: presenza capillare, conoscenza diretta dei luoghi e capacità di intervenire con tempestività. La Polizia provinciale coordina le situazioni più delicate, ma la tenuta del piano dipende soprattutto da questa rete diffusa.

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