Luca Broli, l’avvocato di Guglielmo Gatti: «Vuole essere dimenticato»

Vent'anni fa si apriva una delle pagine più terribili della cronaca nera bresciana. Era il 30 luglio del 2005 quando i coniugi Aldo Donegani e Luisa De Leo furono visti per l’ultima volta nella loro villetta di via Ugolini, a Brescia. I loro cadaveri furono trovati a metà agosto al passo del Vivione. Erano stati uccisi e smembrati. Per il duplice delitto sta scontando la pena dell’ergastolo il nipote della coppia, Guglielmo Gatti.
Avvocato Luca Broli, da quanto tempo non vede Guglielmo Gatti?
«Da prima del Covid, quando ero stato da lui nel carcere di Opera semplicemente per vedere come stava ed incontrarlo. Ero andato sostanzialmente a trovarlo senza intendimenti giudiziari perché la sua volontà è sempre stata quella di essere letteralmente dimenticato».
Riavvolgiamo il nastro: 30 luglio 2005. Qual è il suo primo pensiero in merito a quel giorno?
Stavo trascorrendo un periodo di vacanza già programmata da tempo. Ero lontano da Brescia. Precisamente a Tenerife.
Lei è dunque in vacanza mentre in città spariscono Aldo e Luisa Donegani. Leggendo i giornali che idea si era fatto di quella vicenda?
Mi ero reso conto che il caso stava montando a livello nazionale e se ne parlava nei telegiornali, se ne parlava sui giornali, era un periodo in cui tutto era fermo, era diventato un po’ lo sport nazionale quello di capire che fine avessero.
E arriviamo al 17 agosto di vent’anni fa e al suo primo incontro con Guglielmo Gatti, il nipote della coppia che viene fermato con l’accusa di duplice omicidio. L’incontro avviene al comando provinciale dei carabinieri di Brescia. Cosa ricorda?
Il mio primo pensiero è rivolto al momento in cui sono arrivato in caserma e mi son trovato un mare di giornalisti ad accogliermi. Per altro non avevo inteso che la persona che ero stato chiamato a difendere fosse collegata all'omicidio dei coniugi Donegani. Ricordo che ovviamente mi venne concesso di parlargli per poco tempo e concordammo insieme, analizzando i pro e i contro, di avvalerci della facoltà di non rispondere in quel momento.
Lei viene nominato legale d’ufficio e poi Gatti le conferma la fiducia. Chi era questo uomo che prima di venire arrestato era andato in tv per lanciare un appello con la fotografia degli zii tra le mani?
Ho conosciuto una persona molto intelligente, di sconfinata cultura, molto schivo e che ha sempre vissuto una vita sostanzialmente in linea con quelle che erano le esigenze sue e dei familiari. Quindi è storia che si sia premurato e curato dei propri genitori anche perché figlio unico e li aveva accompagnati entrambi nel corso del calvario delle malattie.

A proposito di televisioni, è stato uno dei casi più mediatici della provincia di Brescia. Quanto pesò il grande interesse di tv e giornali?
Sicuramente il peso di quell’indagine fu molto amplificato dai mezzi di comunicazione. Basti pensare che l’appello con la fotografia degli zii fuori casa venne ricordato da un ragazzino della Vallecamonica che segnalò la presenza dello stesso Gatti in auto il giorno della scomparsa degli zii nella zona del passo del Vivione. Segno di quanto fin da subito il caso ebbe un’attenzione mediatica fuori dal comune. Non dimentichiamoci poi che il giorno del fermo l’allora procuratore capo fece una conferenza stampa e di fatto davanti ai giornalisti aveva già emesso una sentenza di condanna nei confronti di Guglielmo Gatti prima che venisse celebrato il processo.
Sono passati 20 anni dal caso Gatti-Donegani. Il suo assistito non ha mai confessato l’omicidio e neppure di aver fatto a pezzi gli zii e di aver gettato i resti del corpo tra il Vivione e a Passirano. Onestamente: lei gli ha sempre creduto?
Sempre, nel senso che non ho motivo di dubitare che lui fosse effettivamente innocente.
Eppure, ci sono prove che per gli inquirenti sono granitiche: quella appunto del riconoscimento del ragazzino che ha raccontato di averlo incrociato in auto sulle curve del passo del Vivione e poi «il cielo stellato» apparso ai carabinieri quando hanno usato il luminol nel garage di via Ugolini definito dall’allora procuratore Tarquini «il mattatoio».

Ci sono ovviamente delle prove soprattutto quelle scientifiche, e la giurisprudenza attuale sul punto ne è la conferma, che possono essere lette a seconda di chi le fornisce; quindi, a seconda di chi le fa. Le prove scientifiche possono servire, ma non possono esser le uniche che dirigono verso una assoluzione o una condanna
È immaginabile che un uomo così, della sua corporatura, possa aver fatto tutto da solo? Ha mai pensato potesse essere il mandante e non l’esecutore?
È una domanda lecita anche perché le risultanze avute dall’autopsia sui due cadaveri davano prova del fatto che su un corpo era stato fatto un depezzamento diciamo rude, mentre sull'altro invece era stata utilizzata una tecnica molto più sofisticata, molto più precisa tanto è vero che ci eravamo chiesti se fossero due mani diverse o, meglio, quattro mani in totale. Aspetto peraltro condiviso dal consulente della procura stessa.

Ma se Gatti si proclama innocente e lei non ha motivi per non credergli, perché non avete mai pensato alla revisione del processo?
Perché lui non mi ha mai manifestato alcuna intenzione in tal senso e non vorrebbe più essere ricordato e nominato per quel caso. Mi ha sempre detto che lui quello che doveva dire, l’ha già riferito nelle sedi istituzionali, cioè nel corso del dibattimento davanti alla Corte. E da quel punto non si è più discostato, confermandomi ancora una volta la sua linea di coerenza.
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