Illegali ma alla luce del sole: viaggio tra le key box di Brescia

Le «cassette delle chiavi» sono utilizzate da alcune strutture ricettive per velocizzare i check-in dei turisti
Una key box aperta - © www.giornaledibrescia.it
Una key box aperta - © www.giornaledibrescia.it
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Si confondono tra citofoni e cassette postali. Si «annidano» alle grate e ai pali della luce. Se abbassi lo sguardo le trovi anche tra i piedi, agganciate alle inferriate. Sono le famigerate key box, cassette delle chiavi che, grazie a un codice condiviso con l’ospite, permettono ai proprietari di affitti brevi di velocizzare le procedure per il check-in senza dover incontrare il cliente.

È avanguardia europea delle strutture ricettive o simbolo del turismo di massa che sta cambiando il volto delle città? È questo il dilemma che imperversa da Roma a Milano, da Genova a Firenze. Dalla lotta a questa anonima cassetta diventata icona dell’overtourism è nato un caso nazionale, che ha portato il dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno a mettere mano alla pratica diffusa.

Una circolare del 18 novembre, firmata dal capo della polizia Vittorio Pisani, vieta infatti in tutta Italia il check-in da remoto in tutti gli alloggi turistici, in particolar modo gli appartamenti affittati a tempo breve. Tra le principali ragioni del provvedimento ragioni di sicurezza e l’iniquità di normative rispetto alle altre strutture ricettive.

Nulla cambia

Eppure, a tre mesi di distanza dal diktat del Viminale le key box restano pressoché tutte al loro posto. Anche nel Bresciano, dove nel capoluogo e nelle principali località turistica sul Garda sono migliaia le cassette contenenti chiavi che aspettano solo di essere aperte ogni settimana.

Nel centro di Brescia basta aguzzare la vista e orientare lo sguardo per ritrovarsi nella selva delle key box in un istante. Da via Solferino a piazza Paolo VI, dal quartiere Carmine a via Trieste sono decine, ancora al loro posto in prossimità degli ingressi, dei portoni, delle finestre. In alcuni casi, sui siti e le piattaforme di riferimento dei suddetti appartamenti si legge un esplicito riferimento al «check-in online e ritiro chiavi attraverso box».

Così ancora oggi basta prenotare online l’appartamento, ricevere il codice, aprire la cassetta e prendere possesso dell’alloggio. In barba alle nuove direttive.

«Il problema è che mancano i controlli - spiega il presidente di Federalberghi Brescia Alessandro Fantini -, il fatto che ci siano ancora attività che fanno accoglienza a distanza non può deputare a favore della sicurezza. Noi non siamo assolutamente contrari a una forma di ospitalità alternativa che è anche un completamento dell’esperienza di soggiorno soprattutto per le famiglie numerose che magari hanno bisogno anche di cucina e altri spazi, ma c’è un problema di sicurezza che va affrontato».

Da decenni gli alberghi sono infatti tenuti a verificare l’identità degli ospiti e a comunicare i dati alla Questura. E c’è una legge che risale all’anteguerra a regolamentare il fenomeno. «Questa normativa introdotta dal Viminale determina lo stesso obbligo anche per gli affitti brevi», conclude Fantini.

La situazione

Key box - © www.giornaledibrescia.it
Key box - © www.giornaledibrescia.it

Il provvedimento, però, sembra rimasto su carta. Almeno a Brescia. È impossibile stimare quante key box siano tuttora presenti in città: la loro persistenza sulle pareti dei palazzi è l’unica testimonianza del mancato rispetto della nuova norma.

La loro rimozione, dunque, l’unico antidoto. Di certo la pratica è molto diffusa tra i proprietari degli alloggi messi in affitto ai turisti: e in città, grazie al fenomeno Capitale della Cultura, si è passati dai circa 200 appartamenti affittati a breve termine all’inizio del 2023 agli oltre 400 attuali. Lo stesso scenario lo si ritrovz anche in provincia: due anni fa le strutture analoghe erano 3.700, alla fine del 2024 ne sono registrate 8.500. Si può solo immaginare la portata del fenomeno.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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