Incendi, come incidono l’abbandono dei boschi e la crisi climatica

Non è tanto il numero degli incendi a dar conto dell’emergenza, ma il valore della superficie media che brucia ogni volta. Dal 2000, anno dell’entrata in vigore della legge contro gli incendi boschivi, ad oggi, abbiamo registrato una diminuzione di questo valore, ma è aumentata la probabilità che si verifichino annate estreme.
«Se calcoliamo il coefficiente di variazione, ovvero quanto è lo sbalzo da un anno all’altro della superficie bruciata, notiamo una maggiore alternanza di annate calme e annate molto negative» dice Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all’Università Statale di Milano e all’Unimont di Edolo. Le ragioni sono da ricercare in due dinamiche, la prima delle quali riguarda la soglia di estinzione degli incendi.
Spiega Vacchiano: «Gli incendi hanno una dinamica a soglia per la loro estinzione. Quando questa soglia viene superata, semplicemente l’incendio diventa impossibile da spegnere, perché gli operatori non possono intervenire in sicurezza e senza il lavoro a terra il fuoco non può essere fermato. I mezzi aerei sono certamente di supporto, ma solo nella misura in cui consentono ai tecnici di operare».
Se le condizioni del bosco sono tali per cui vengono favoriti gli incendi grandi, gli incendi potenti, questi viaggiano e percorrono grandi superfici. Se invece il bosco brucia con più difficoltà, è meno probabile che un innesco sfugga al controllo.
«I dati ci dicono che siamo diventati sempre più bravi a controllare i roghi negli anni in cui non ci sono le condizioni perché acquistino potenza - continua Vacchiano -, ma le annate straordinarie ci colgono impreparati. E sono sempre più frequenti».
Determinante climatica
Un incendio diventa potente ed energetico quando la vegetazione è secca. Circostanza sempre più frequente a causa dei lunghi periodi di siccità, che hanno due conseguenze: le piante diventano potenziale combustibile anche al di fuori della normale stagione del rischio di incendi (tra gennaio e marzo) e anche la vegetazione che normalmente rimane umida, come le foreste di faggio, in annate straordinarie diventa infiammabilE.
Boschi in espansione
C’è poi il tema del ritorno del bosco. «Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una sua espansione - dice l’agronoma Emanuela Lombardi, dell’Ordine di Brescia -, ma a causa degli alti costi e della bassa convenienza economica, ce ne occupiamo sempre meno. L’evoluzione naturale del bosco non è un male, ma deve essere gestita, soprattutto dove vive l’uomo».
«Nella fascia prealpina in particolare si sono aperte per il fuoco nuove autostrade verdi - continua Vacchiano -: prima vigneti e pascoli contribuivano a rallentare le fiamme, abbassandole e rendendole attaccabili. Ora invece c’è un arbusteto facilmente attaccabile quando l’annata è secca».
La prevenzione passa anche dalla riappropriazione del bosco. «La conoscenza del territorio - dice Lombardi -, con un occhio attento allo stato di salute dei versanti, deve guidare gli interventi preventivi». «Grazie alla tecnologia - sottolinea Vacchiano - sappiamo quali sono i punti più a rischio e quindi dove andare a intervenire». Spezzare la corsa delle fiamme con pascoli e linee tagliafuoco è essenziale e può dare nuova linfa anche alle attività di montagna, rendendole così più redditizie.
Infine, la resilienza del bosco: «Finché il fuoco si comporta in modo prevedibile, il sistema ha la capacità di rispondere - conclude Vacchiamo -. Se invece il regime degli incendi cambia a causa della crisi climatica, i roghi diventano più violenti e anche i boschi perdono la loro naturale capacità di reagire e di rigenerarsi».
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