Gli Usa: «Sacrificare il Donbass». Zelensky: «Serve un referendum»

Il ping pong diplomatico continua mentre la tensione sale. Volodymyr Zelensky, incontrando i giornalisti a Kiev, ha confermato che le trattative di pace sono incagliate principalmente sul destino del Donbass, il Donetsk in particolare. Gli Usa vorrebbero che le forze ucraine si ritirassero e che quel fazzoletto di terra martoriato – dove si snodano le fortificazioni – divenisse una «zona economica libera». A Mosca però non viene chiesto altrettanto nella parte che occupa attualmente. Uno squilibrio potenzialmente fatale.
«Elezioni o referendum»
Zelensky è sotto pressione immensa da parte degli Usa e allora, sulla questione territoriale, evoca le urne: «Sarà il popolo a decidere, con le elezioni o un referendum». L’accelerazione è sempre più evidente e nelle ultime 24 ore sono emersi molti dettagli. Il Cancelliere tedesco Friedrich Merz ha precisato che, quando ha sentito al telefono il presidente americano insieme ai suoi pari di Parigi e Londra, la Casa Bianca non aveva ancora ricevuto l’ultima versione del piano, che rispecchia la posizione euro-ucraina.
Dentro c’è un’ipotesi di «concessioni territoriali» che l’Ucraina «potrebbe accettare». Ora, ha detto Merz, i negoziati – nell’idea degli europei – continueranno nei prossimi giorni e nel corso del fine settimana. Poi potrebbe esserci «una riunione» all’inizio della prossima settimana a Berlino. «La partecipazione dell’amministrazione statunitense dipenderà in gran parte dai documenti su cui lavoreremo in questo periodo», ha aggiunto Merz.
La frustrazione di Trump
Anche se Trump – spiega la Casa Bianca – si dice frustrato da Mosca e Kiev: «Non vuole più chiacchiere, ma azione. È stufo degli incontri solo per il gusto di fare incontri». Intanto sabato i funzionari di Ucraina, Usa, Francia, Germania e Regno Unito si vedranno a Parigi per fare l’ennesimo punto della situazione. L’altro nodo, ha detto Zelensky, è il destino della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa e cruciale per lo sviluppo economico dell’Ucraina. Ecco, la parte economica sarà oggetto di un documento separato – Zelensky ne ha parlato di recente con il segretario al Tesoro Scott Bessent – così come le garanzie di sicurezza.
Today, we have had a constructive and in-depth discussion with the American team on one of the three documents we are currently working on – the one on security guarantees. The U.S. was represented by Secretary Marco Rubio @SecRubio, Secretary Pete Hegseth @SecWar, @SteveWitkoff,… pic.twitter.com/gztUJHBOqn
— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) December 11, 2025
A questo proposito Zelensky si è collegato in serata con una folta delegazione che comprendeva Marco Rubio, Pete Hegseth, Steve Witkoff, Jared Kushner, il comandante supremo della Nato e delle forze Usa in Europa, il generale Grynkewich, nonché lo stesso Rutte. Ed è stato concordato che i team lavoreranno attivamente per garantire che, nel prossimo futuro, vi sia «una chiara comprensione» di queste garanzie. La presenza di Rutte, per l’Europa, rappresenta una scialuppa di salvataggio.
Corsi e ricorsi storici

L’ex premier olandese, in un discorso a margine della visita a Berlino, ha ribadito che «la sicurezza dell’Ucraina è la nostra sicurezza» e che «noi siamo il prossimo obiettivo della Russia, non possiamo lasciarci dividere». «Dobbiamo essere pronti – ha esortato – a fare quello che hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni» in passato. Toni foschi che però tengono conto dei timori dell’Europa, che ora ha paura di una “glasnost” tra Russia e Usa sulla sua pelle.
L’ipotesi che esista una versione riservata della strategia di sicurezza nazionale Usa che prevede una nuovo format extra-europeo, il C5 (Usa, Russia, Cina, India e Giappone), e l’intenzione di «separare» Italia, Austria, Polonia e Ungheria dall’Ue è arrivata come l’ennesima doccia fredda a Bruxelles. In tutto questo l’Europa avanza sull’uso degli asset russi, giocandosi l’ultima carta rimasta nel mazzo. I 27 hanno avviato la procedura scritta – dando cioè il voto alle capitali – sulla proposta di usare l’articolo 122 del Trattato, l’emergenza economica, per congelare in perpetuo i fondi della Banca Centrale russa (e per sbloccarli servirà il voto a maggioranza qualificata). La presidenza danese è sicura che ci sia il sostegno necessario.
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