Ucraina: dall’Ue ok al debito comune ma salta l'uso degli asset russi

Hanno prevalso, nelle parole più utilizzate dai leader, il «buon senso», il «pragmatismo» e la «stabilità» finanziaria. Ha prevalso la volontà di sostenere l'Ucraina. Ma a non prevalere, in maniera netta e clamorosa, è stata la linea che Ursula von der Leyen e Friedrich Merz avevano indicato da giorni, quella dell'uso degli asset russi. Al termine di uno dei vertici più lunghi e delicati degli ultimi tempi, l'Europa ha trovato una quadra nel segno dell'unanimità, e ha scelto di sostenere Kiev per il 2026 e 2027 con un prestito da 90 miliardi, attraverso debito comune.
We gathered today with a clear objective:
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 19, 2025
to address Ukraine’s pressing financing needs.
We delivered.
90 billion euro for the next two years through EU borrowing on the capital markets ↓
https://t.co/DPQcTkDPX8
«Ha prevalso il buon senso», ha esultato la premier Giorgia Meloni, che fino all'ultimo ha frenato sull'ipotesi dell'uso dei beni congelati di Mosca. Il vertice era stato preparato in modo tale che, mentre i capi di Stato e di governo dei 27 discutevano dei temi considerati attualmente meno centrali, le trattative sull'uso degli asset tra la Commissione europea e il Belgio andassero avanti per cercare di trovare un punto di caduta sul grande nodo delle garanzie. Al momento della cena, tuttavia, è cominciato ad emergere un dato: il binario degli asset russi non avrebbe portato a niente. Il premier belga Bart De Wever non aveva dato segni di cedimento.
Le perplessità di Paesi come Italia, Bulgaria, Malta e Repubblica Ceca restavano intatte. Viktor Orban e Robert Fico, nel frattempo, non smettevano di lavorare ai fianchi per far saltare la soluzione che avrebbe scatenato l'ita di Mosca. A quel punto il pressing di Merz e von der Leyen ha smesso di dare segni di vitalità. Sul tavolo dei 27 ha acquistato forza il piano B, un prestito da 90 miliardi finanziato sul mercato dei capitali con la garanzia del Qfp, ovvero del bilancio pluriennale comunitario. Un simile accordo necessitava tuttavia dell'unanimità. Ed è lì che ha avuto luogo il secondo colpo di scena: Praga, Bratislava e Budapest si sono detti disponibili a votare l'accordo, a patto di avere la possibilità dell'opt-out, ovvero di non partecipare al prestito per Kiev.
Notte fonda
A notte fonda, i 27 si sono riuniti ed è bastata meno di un'ora per trovare l'accordo. «Se sai fare il tuo lavoro, e parli con le persone, si può arrivare ad un accordo. Mi sono preparato, ho parlato con molte persone, anche se non si svelano i segreti del mestiere», ha osservato, ammiccante, De Wever. I beni russi congelati rimarranno bloccati fino a quando la Russia non avrà pagato i risarcimenti all'Ucraina. E, se non lo farà, l'Ue si dice pronta a ricorrere, nel rispetto del diritto internazionale, a quegli stessi asset per rimborsare il prestito.
«Sono contenta che si sia riusciti a garantire le risorse che sono necessarie, ma a farlo con una soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario», ha spiegato Meloni al termine del vertice. Il volto, visibilmente stanco. Ma in pochi alla vigilia avrebbero scommesso su una notte così a Bruxelles.
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