Un angolo di bellezza sospeso tra gli azzurri del cielo e del Benaco

La suggestione selvaggia ed estrema del Sasso di Manerba e della chiesina di San Giorgio
Un'immagine del Sasso di Manerba
Un'immagine del Sasso di Manerba
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Il Sasso di Manerba del Garda è un gigantesco cuneo di pietra che si sporge sul lago, sotto la Rocca, dove un tempo sorgevano edifici tra cui un castello, di cui ora restano le rovine. Il Sasso, pur abitato tra gli 8000 e i 5000 anni fa, è rimasto selvaggio, estremo. Le sue pareti verso il Benaco cadono a piombo sulle acque.

Un alto dirupo, che da una parte consente una visione senza pari di insenature, golfi, paesi e montagne e dall’altra parte mette ansia per la sua volontà di rivolgersi verso l’acqua senza mezzi termini, con un precipizio da brivido al quale si deve guardare sporgendosi con cautela.

La salita è faticosa ma non troppo, la vista è facile da descrivere (lago, luce, il profilo del Benaco disegnato alla perfezione che si stende oltre ogni sguardo più acuto) e ancora più facile da interiorizzare. È un grande spazio che ti attraversa e ti assorbe, un’immensa roccia dai bordi frastagliati a formare una caduta di quelle che tolgono il fiato e che in tanta bellezza trasmette un timore quasi reverenziale. Poiché nella ricchezza di questa vista, che è una visione, è insita l’ansia del nulla, della commistione tra pieno e vuoto, tra il desiderio di raggiungere la cima e il terrore di scivolare verso il basso.

Questo spiazzo di pietra e di verde è sollevato dal lago e lontano dal cielo: un luogo di riflessione e ristoro, dove se vuoi pensare pensi e se non vuoi sogni e se non vuoi sognare puoi lasciar andare via ogni pensiero e fluttuare dove non immagini. Dove tutto è sospeso eppure ben appoggiato a terra, si cammina sul promontorio del paradiso, da cui partono più sentieri, uno dei quali guarda a Sud-Est, verso Sirmione e Desenzano.

Al termine di una non lunga passeggiata ecco una chiesina preceduta da qualche cipresso. Davanti a lei alcune piante di ulivo. È San Giorgio, compunta e compatta struttura originaria del VII secolo (sebbene l’edificio sia riferibile all’XI secolo e oltre), il cui portico offre una dolce ombra. All’interno si vedono (anche quando la chiesa è chiusa si possono osservare dalle due finestre della facciata) affreschi: San Giovanni Battista, Santa Caterina, San Leonardo, la Madonna in trono. Spicca su tutti il paladino di un’elegante principessa e uccisore di draghi, con la sua armatura corrusca. È san Giorgio, a cui è intitolato l’edificio. Bello, giovane, indomito.

Il minuscolo interno, così come ciò che esternamente lo abbraccia, sono abbaglianti. Seduti nel portico, confortati da un guerriero che combatte solo i draghi e mai torcerebbe capello a qualsiasi altra creatura vivente, si sta seduti in pace su un gradino, con l’umiltà di chi ha il privilegio di poter spaziare l’orizzonte.

Non serve guardare verso l’alto né verso il basso. Si sta su una pietra a metà tra due azzurri diversi, uno celeste e uno acquatico. Azzurri diversi che si fondono, diventando serenamente uguali.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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