Il sarcofago perduto di San Tiziano e il sogno antico della badessa

Sulle tracce delle reliquie dello storico vescovo di Brescia fino alla sua nuova sepoltura, per una storia tutta bresciana
Un particolare dell’Arca di San Tiziano
Un particolare dell’Arca di San Tiziano
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San Tiziano era sì bresciano, ma originario dell’Europa del Nord. Forse era ostrogoto e, prima di diventare vescovo di Brescia, incarico che ricoprì dal 526 al 540, anno della sua morte, pare fosse un prefetto di Teodorico.

Le reliquie scomparse

Era un periodo di enormi cambiamenti e lui stesso fece un grande passo, da funzionario a sacerdote. Le sue spoglie in teoria rimasero per secoli nella primigenia chiesa intitolata a Cosma e Damiano, che aveva la fortuna, in seguito rivelatasi una sfortuna, di trovarsi vicina al Broletto.

Quando, alla fine del Duecento, si decise di ampliare il palazzo comunale, fu chiesto a papa Bonifacio VIII (odiatissimo da Dante Alighieri che lo accusava di simonia, ovvero di praticare con spregiudicatezza la compravendita di beni più o meno spirituali) il permesso di abbatterla unitamente all’annesso monastero femminile (una questione di edifici poco edificante, insomma). Il Pontefice inviso al Sommo Poeta acconsentì, così il complesso venne raso al suolo e ricostruito nella zona dei Campi Bassi, dove tuttora si trova. Nel frattempo fu persa ogni traccia delle reliquie, ma d'altronde tra la morte del santo e la demolizione della chiesa erano trascorsi ben sei secoli e mezzo

Siamo già alla fine del Quattrocento quando la badessa del (nuovo) monastero sogna il punto esatto in cui sono sepolte le sacre spoglie. Infatti eccole lì, dentro un sarcofago, bello ma lontano dalla sensibilità dell'epoca. Si decide allora di commissionarne uno più consono in cui custodirle e il lavoro viene affidato alla famiglia dei Sanmicheli, scultori e architetti comaschi.

La nascita dell’Arca rinascimentale

Nel 1505, come si evince dalla scritta (in numeri romani) MDV posta alla base del nuovo monumento, ecco pronta e inaugurata l’Arca di San Tiziano. Dietro di essa appare la scritta MDXXIX (1529), che potrebbe riferirsi all’anno in cui furono aggiunte le quattro sculture: San Damiano, la Vergine con il Bambino e San Cosma nelle nicchie, mentre in cima c’è San Tiziano.

E il sarcofago del sogno della badessa dov'è finito? Sta in un angolo della Piazzetta Tito Speri e, per volontà dell’architetto Antonio Tagliaferri, dal 1885 è diventato una fontana. Sempre che sia attendibile la tradizione che fa coincidere questo sacello dell’XI secolo con quello visto dalla monaca. L’arca, nuova sede delle reliquie, è in marmo parzialmente dorato e ha l’aspetto di qualcosa di oltremodo prezioso. È rinascimentale, ma porta dentro di sé qualcosa di antico (e non ci si riferisce solo ai resti del santo del quinto secolo), ancestrale, quasi uscito da un abisso spazio-temporale.

Così una storia poco limpida di demolizioni, sparizioni, spostamenti e visioni si ricompone in questo scrigno, in cui San Tiziano, dopo un millenario vagare, ha infine trovato una cinquecentenaria pace. «Il tempo è un grande autore: trova sempre il perfetto finale» (attribuita a Charlie Chaplin).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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