San Martino della Battaglia, «nel silenzio del sepolcro affratellati riposano»

Ritorno all’ossario per comprendere quanto è dolorosa e sanguinosa la guerra
Un particolare dell’ossario di San Martino della Battaglia
Un particolare dell’ossario di San Martino della Battaglia
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Perché è utile tornare più volte a San Martino della Battaglia? Per la Torre, certo, da cui si vede un infinito orizzonte, posta come faro della riconquistata libertà. Costruita con denaro proveniente da una sottoscrizione pubblica di un paese libero, ricorda coloro che lottarono per l'indipendenza dell'Italia, tra cui i partecipanti allo scontro che avvenne qui, il più famoso e violento di tutti. La torre serve a far capire quanto costa la libertà.

Per comprendere invece quanto è dolorosa e sanguinosa la guerra bisogna entrare nell’ossario di San Martino. Già all’esterno si inizia a intuire il concetto guida di questo luogo: cippi e lapidi con nomi e date di nascita di coloro che morirono qui, ammazzandosi a vicenda, italiani e francesi da una parte e austriaci dall’altra.

I nomi non sono solo italiani, ci sono anche gli altri. Le date indicano che si tratta di ragazzi di vent’anni o poco più. Chi volete che vada in guerra, se non loro? Chi viene chiamato a sacrificarsi?

Che sia per un ideale di libertà o per difendere un paese occupato o per occupare un paese o per cacciare l’invasore, qualsiasi sia il motivo sono i giovani che devono imbracciare il fucile. Quando sono morti e non parlano finiscono per assomigliarsi e non sembrano più ostili, anzi non lo sono affatto. Perché non tenerli insieme?

Questo è l’esterno, che prepara a ciò che è custodito all’interno: un’abside di teschi messi lì non per spaventare o per sciorinare il lugubre spettacolo della morte, ma per dimostrare come sia impossibile distinguere le idee o le speranze o il colore degli occhi di un nudo cranio. E anche il paese di provenienza: qui ci sono austriaci e italiani in numero di 1274.

Nella cripta invece ci sono le ossa, anch’esse mischiate tra loro, di 2619 caduti. Tanti, vero? Pochi rispetto al numero di vittime della battaglia, che, a seconda delle fonti, varia sensibilmente, da circa ottomila a circa quarantamila, mentre i feriti furono circa ventimila (su certi circa si stende un’ala molto tetra, vero?). I feriti che agonizzavano da giorni sul campo di battaglia, assistiti da una popolazione generosa ma priva di competenze mediche, ispirarono a Henry Dunant, che si trovò a passare di lì nei giorni successivi alla tragedia, la creazione della Croce Rossa, quella su cui non si dovrebbe sparare anche se purtroppo c’è da sempre chi lo fa.

L’ossario fu inaugurato il 24 giugno 1859, undici anni esatti dopo la battaglia. I resti qui raccolti appartengono a uomini che videro pochissimi giorni di quell’estate e l’ultimo non fu certo il più bello. Una frase in latino, tradotta in italiano, francese e tedesco come la nazionalità dei caduti, finisce così: «Nemici in battaglia, nel silenzio del sepolcro affratellati riposano».

Perché è utile tornare più volte a San Martino della Battaglia? Per pensare a come restare affratellati. Da vivi.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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