Un anno di pandemia: R come responsabilità, Rt e ristoratori

Per vincere la pandemia è necessaria pure un’etica all’altezza della sfida
Ognuno è chiamato a proteggersi dal Covid per rispetto di se stesso ma anche dell’altro
Ognuno è chiamato a proteggersi dal Covid per rispetto di se stesso ma anche dell’altro
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Responsabilità

La responsabilità è una categoria che è tornata più che mai centrale ai tempi del coronavirus. È la responsabilità dell’uno nei confronti di tutti e di tutti nei confronti dell’uno. Per vincere la pandemia è necessaria pure un’etica all’altezza della sfida. Ognuno è chiamato a rispondere delle proprie azioni e a proteggersi dal Covid per rispetto non solo di se stesso ma anche dell’altro, della comunità di cui fa parte.

Le autorità richiamano continuamente a comportamenti responsabili: indossare correttamente la mascherina, non creare assembramenti, ecc. Violare le disposizioni è ritenuto da qualcuno un fatto non eccessivamente grave, non in grado di avere chissà quali conseguenze. In realtà il danno prodotto anche da un solo individuo può essere molto serio: potrebbe anche dare origine a un nuovo focolaio. E le probabilità sono tanto più alte quanto più le violazioni ai comportamenti responsabili vengono ripetute.
Marco Tedoldi

Rt

«Metti che hai due familiari, due amici, due vicini di casa, due che incontri sempre al supermercato. Metti che l’Rt (erre con ti) sia uguale a due. Metti che hai il coronavirus: tu da solo, con l’Rt a quei livelli, puoi contagiare altri due in un certo tempo. E metti che pure loro abbiano due familiari (te escluso), due amici (te escluso), due vicini di casa (te escluso) e due che incontrano al supermercato. In altrettanto tempo ognuno di loro può contagiare altre due persone a testa. E siamo a sette contagiati.

Se ciascuno dei familiari dei tuoi familiari, o degli amici dei tuoi due amici, o dei vicini di casa dei tuoi vicini di casa contagiati o ancora dei due con cui ti fermi a chiacchierare al market contagia altri due familiari, amici o vicini o acquirenti che siano, balziamo a quindici. In un amen siamo in un macello. La pandemia».

Ecco, quando l’Rt me l’hanno spiegato così (non ricordo se un amico, un vicino, un familiare o quello del supermercato), l’ho capito al volo. Che era il caso di stare a casa e, in caso contrario, mettere bene la mascherina, tenere le distanze e non pensare sempre che «tanto io sto bene e anche i miei familiari, i miei amici, i miei vicini di casa, quelli che incrocio al supermercato».

Ristoratori

Hanno spento i fornelli prima ancora che venisse imposto loro dal Governo. E, in quest’anno fatto di incertezze, apri&chiudi e briciole di ristori, ne hanno fatte - in senso buono - di cotte e di crude per non affondare.

Parliamo dei ristoratori bresciani. Li abbiamo visti lanciare i «risto bond» (paghi ora e vieni a cena quando si potrà), scendere in piazza e promuovere campagne social dimostrandosi amici e non rivali. Hanno riorganizzato le attività per far entrare due soldi con delivery e take away. E ancora: hanno sacrificato tavoli e comprato divisori in plexiglass per accogliere, quando possibile, i clienti. Ma alcuni, anzi tanti, stanno facendo la fame. E, come Arthob ci ha detto in tutte le salse, chiedono solo di poter lavorare.
Barbara Bertocchi

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