Un anno di pandemia: H come (Covid) hotel

In un anno in cui il turismo è stato travolto dall'emergenza, le stanze vuote sono talvolta divenute il luogo dell'isolamento. Anche a Brescia
  • Il Paolo VI è Covid hotel
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AA

Covid Hotel

Il coronavirus è riuscito a insinuarsi ovunque. A scardinare famiglie, imporre convivenze forzate di lunga durata senza lo sfogo di spazi individuali e valvole di sfogo, ha fatto scoppiare coppie e alterato per i mesi più lunghi del lockdown di primavera l’equilibrio di molte convivenze. Non solo. Ha separato chi, contagiato, era recluso in una stanza con la condivisione di spazi comuni ridotti al minimo, diviso dalla persona o dai familiari con cui condivideva ogni giorno la vita sotto un solo tetto. Ha anche imposto allontanamenti forzati di chi si ritrovava a voler preservare chi amava. A volte sono state separazioni definitive, cariche di solitudine e silenzi. Altre volte un soggiorno forzato in un altrove imprevisto.

Ecco che anche nel Bresciano sono sorti i Covid hotel. Strutture che hanno cambiato veste e dalla ricezione turistica, di affari, religiosa, o di altro tipo, sono divenuti spazi di compensazione tra il contagio, la malattia e il ritorno ad una normalità rubata. Dal Centro Paolo VI in centro a Brescia all’hotel Igea a Desenzano, le stanze sono divenute i luoghi dell’isolamento per chi, pur contagiato, restava autonomo e in condizioni clinicamente stabili. La casa negata, il luogo del tempo rubato alla vita dal virus. Difficile non pensare al paradosso, al doppio dolente, alle tante stanze di albergo svuotate di un turismo messo in ginocchio - al pari di ristorazione e affini - dallo stesso nemico invisibile.

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