Strage di Piazza della Loggia: «Tramonte? Quello in foto non è lui»

La moglie e la sorella dell'ex informatore dei servizi segreti, condannato all'ergastolo, hanno sostenuto la tesi della difesa
'IN QUELLA FOTO NON E' LUI'
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Tutto secondo quanto previsto. Le due testimoni non potevano che smentire la fotografia al centro del caso e sostenere la tesi della difesa. Davanti alla Corte d’appello di Brescia - nell’ambito della revisione del processo a carico di Maurizio Tramonte, condannato in via definitiva all’ergastolo per la Strage di Piazza Loggia - hanno testimoniato la moglie e la sorella dell’ex informatore dei servizi segreti, che la legge italiana ha stabilito fosse a conoscenza dell’attentato del 28 maggio 1974, in cui morirono 8 persone e ne furono ferite altre 102.

 

 

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Alle due donne è stata mostrata la fotografia in bianco e nero che, secondo quanto testimoniato da un ex compagno di cella, lo stesso Tramonte aveva esibito in carcere, affermando di essere stato presente in piazza a Brescia nel giorno dell’attentato fascista. Nel processo d’appello a Milano, fu proprio l’ex detenuto Vincenzo Arrigo, nel frattempo deceduto, a riconoscere l'allora giovane Maurizio Tramonte. Lui ha smentito: «Ero al lavoro a Padova. Non sono io quello nella foto» ha sempre detto in aula Tramonte e i suoi legali hanno depositato una perizia antropometrica che dimostrerebbe che la persona in piazza il giorno della Strage di Brescia non era Tramonte, condannato in via definitiva all’ergastolo insieme a Carlo Maria Maggi che però è morto alcuni anni fa.

Oggi i giudici hanno respinto l’acquisizione del verbale della testimonianza di Arrigo, quando fu ascoltato «a sommarie informazioni» nel 2004. Gli avvocati difensori sostengono, infatti, che quella riportata negli atti successivi sia diversa.
Nell’udienza di questa mattina la sorella maggiore dell’ex fonte Tritone, Manuela Tramonte, ha dichiarato: «Quello nella foto non è lui, anche il naso e diverso». La donna ha aggiunto: «In quel periodo era più cicciotto e aveva i capelli molto corti». La versione è stata confermata anche da Patrizia Foletto, moglie di Tramonte all’epoca dei fatti, che ha confermato: «Sono diversi sia la corporatura che i capelli: conosco bene mio marito». Entrambe le donne hanno aggiunto che Tramonte in quel periodo aveva una barba folta, dettaglio che nella foto scattata in piazza Loggia non trova riscontro. Patrizia Foletto, alla domanda sul perché non si sia mai fatta avanti prima per fornire la sua testimonianza, ha detto di non aver mai pensato fosse utile. «Nessuno me lo ha mai chiesto» ha poi specificato davanti ai giudici.

A sostegno di quanto detto dalle due donne, gli avvocati Baldassare Lauria e Pardo Cellini - difensori di Tramonte - hanno presentato una nuova perizia antropometrica, realizzata con un software americano di nuova generazione, che confuta la compatibilità tra la fotografia e i lineamenti di Tramonte ritratti in alcune fotografie di famiglia dello stesso periodo. Tra cui quelle del matrimonio. La valutazione punta dunque a smontare la precedente perizia, elaborata dal professor Luigi Capasso e al centro del processo d’appello di Milano.

«Anche se non fosse lui in quella foto non si arriverebbe a dimostrare l’innocenza dell’imputato. Tramonte è stato condannato per aver confessato di aver partecipato alla riunione preparatoria della strage, non perché presente in piazza» aveva detto nelle scorse udienze il procuratore generale di Brescia Guido Rispoli quando chiese alla Corte di rigettare la richiesta di revisione nei confronti di Maurizio Tramonte.

Manlio Milani, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime di piazza Loggia, aveva commentato: «Ho sentito dire che le parti civili si abbeverano del sangue di innocenti. Oltre ad essere una perdita di stile da parte dei difensori - aveva spiegato - è prova del fatto che la difesa non conosce e non rispetta la storia processuale di questa città».

Sulla vicenda c’è grande interesse in procura a Brescia anche e soprattutto dopo la chiusura delle indagini sui presunti esecutori materiali dell’attentato del 28 maggio 1974. Entro fine anno, infatti, i pm Silvio Bonfigli e Caty Bressanelli chiederanno il rinvio a giudizio di Marco Toffaloni, 65 anni e residenza in Svizzera, e minorenne all’epoca dei fatti, e di Roberto Zorzi, 68enne che vive negli Stati Uniti e che gestisce un allevamento di cani, il Del Littorio International Dobermann. Sono i due indagati nell’ultima inchiesta in ordine di tempo sulla Strage di Piazza Loggia, lontana 48 anni, ma ancora alla ricerca di pezzi di verità mancanti.

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