Silvio Mondinelli: «Montagna: Brescia è capitale mondiale»

L'alpinista bresciano per «Interviste allo specchio», condivise con L’Eco di Bergamo nell'anno della Capitale della Cultura
«Gnaro» da vertigini: Silvio Mondinelli impegnato in una scalata - © www.giornaledibrescia.it
«Gnaro» da vertigini: Silvio Mondinelli impegnato in una scalata - © www.giornaledibrescia.it
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Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con L’Eco di Bergamo e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bresciano e uno bergamasco, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bresciano. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bergamasco, invece, vi rinviamo a L'Eco di Bergamo (in calce all’intervista trovate il link diretto alla pagina dedicata del quotidiano orobico).

Ha scalato tutti i 14 ottomila della Terra. Alcuni li ha scalati più volte. In cima, davanti a lui, c’è solo Messner. Ma se gli chiedi di chiudere gli occhi e di immaginarsi in montagna, Silvio Mondinelli risponde senza esitazioni: «mi vedo con il nonno a Pezzoro, quando andavo a mungere le mucche, a tagliare i boschi, a fare il formaggio. Vedo la montagna di quando ero gnaro». Sebbene del gnaro non abbia più la carta d’identità e anche se «gnaro» per la stragrande maggioranza delle persone che incontra nel mondo, dal Monte Rosa al K2, dalla Patagonia al Nepal, non vuol dire nulla, Mondinelli è ancora quel gnaro.

Quindi la montagna non è solo chiodi e record da battere?

«Tutt’altro. Ognuno ha la sua. C’è chi ci va per guardare i fiori, chi per migliorare i suoi tempi di ascesa. Chi, purtroppo, anche solo per farsi un selfie. La montagna che ho nel cuore non è quella degli 8mila. Ma quella nella quale sono cresciuto, in mezzo alle mucche, quella delle baite e dei rifugi dove trovavi gente che faceva festa, che cantava. Oggi siamo tutti chini sui cellulari, anche in montagna».

A Brescia la cultura della montagna, ha fatto passi avanti o indietro?

«Ce n’è tantissima. Ce n’è sempre stata. Non dimentichiamo che Brescia è la patria di Franco Solina, l’alpinista che per primo scalò la parete nord dell’Eiger. La montagna è parte integrante della nostra storia e della nostra cultura: basti pensare alle trincee e ai resti della Grande Guerra, ma anche alle nostre miniere di ferro».

Lo sarà anche in futuro?

«Ci sono tante scuole di alpinismo e di arrampicata. Trovi bresciani ovunque, non solo sulle nostre montagne. Molti più di un tempo, anche perché oggi circolano più soldi».

Dai bivacchi di un tempo ai rifugi cinque stelle. Quanto è cambiato il mondo?

«Tantissimo. Oggi si rischia di spendere più per un letto nella camerata in alta quota, che in un grand hotel. Fortunatamente però, almeno noi in Italia, abbiamo l’imbarazzo della scelta e la montagna è ancora alla portata di tutte le tasche».

Si può parlare di cultura della montagna senza parlare di cultura dell’ambiente?

«Una volta fuori dai rifugi c’erano montagne di rifiuti e i rifugisti nei crepacci buttavano di tutto. Oggi fortunatamente non è più così, ma c’è ancora molto da fare. La montagna va rispettata e per farlo bisogna tornare indietro di qualche passo. Oggi i rifugi hanno docce, saune e ogni ben di Dio. Ma chi porta l’acqua là sopra? A quale prezzo? Di sporco non è mai morto nessuno, chi vuole vivere la montagna a qualche comodità deve saper rinunciare».

Quali sono le montagne che gli appassionati bresciani devono sperimentare?

«Io ci sono andato per la prima volta due anni fa, ma senza dubbio l’Adamello, anche per il suo ghiacciaio: sino a qualche tempo fa era il più esteso d’Europa. Io dico anche il Guglielmo, perché è la mia montagna, ma anche perché quando arrivi al Redentore e ti guardi attorno nelle giornate limpide, vedi tutte le Alpi. Vogliamo parlare della Maddalena? C’è tutto, ci sono dei boschi bellissimi. C’è da perdersi».

Perdersi in Maddalena?

«A me è successo. Era una giornata di nebbia. Ci ho messo due ore per ritrovarmi».

Se potessi rubare un montagna ai bergamaschi?

«La Presolana, ci vado ogni anno. La parete che guarda verso la Valtellina è stupenda. Ha delle vie fantastiche». E poi ci sono gli 8mila. Quale su tutti? «Il K2: enorme, spettacolare. Ma la montagna in sé, ad un certo punto non basta più. A renderla speciale sono le persone che incontri.Le esperienze davvero indimenticabili le fai con loro».

Qui l'intervista allo specchio a Simone Moro curata dall'Eco di Bergamo

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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