Scatta il Green pass in bar e ristoranti: Brescia è pronta

Il mantra del Green pass obbligatorio per bere un caffè o mangiare una pizza all’interno di bar e ristoranti da questa mattina è regola. La certificazione verde - che si ottiene 15 giorni dopo la prima dose di vaccino, a ciclo vaccinale completo, con il certificato di guarigione dal Covid-19 o con l’esito negativo di un tampone effettuato nelle 48 ore precedenti - non serve soltanto per consumare all’aperto o al bancone.
Nel Bresciano i titolari di questo tipo di attività sono perlopiù concordi nel ritenere il Green pass obbligatorio per i servizi all’interno uno strumento «a tutela dei locali e di chi li frequenta: bene se serve a evitare un’altra, insostenibile, chiusura - è il commento della presidente di Arthob Emanuela Rovelli -. Resta però da chiarire l’approccio che dovremo tenere: abbiamo il potere di chiedere un documento al cliente per verificarne l’identità? Se si rifiuta di mostrarcelo cosa dobbiamo fare? Ci preme evitare situazioni spiacevoli e, considerato che sono aumentate le prenotazioni dei tavoli all’aperto, temiamo che i locali privi di spazi esterni o impossibilitati per via delle temperature a fare servizi all’aperto vengano penalizzati».
Scaricata la app ufficiale del Ministero della Salute «Verifica C19» baristi e ristoratori di Brescia e provincia sono pronti. «Non stresseremo i clienti ricordando loro questo obbligo - commenta Antonio Pappalardo, titolare della Cascina dei Sapori di Rezzato e della nuova pizzeria Inedito in città -, ma saremo rigorosi nell’applicarlo. Se serve a non farci chiudere lo accettiamo. E speriamo che, rendendo i nostri locali più sicuri, porti ancora più lavoro, anche se quest’estate non possiamo lamentarci».
È dello stesso avviso lo chef bistellato del Miramonti L’altro Philippe Léveillé: «È un atto civile, niente di straordinario - commenta -. Dobbiamo fare di tutto per evitare un altro stop. Ricordiamoci quanto abbiamo sofferto e facciamo in modo di uscirne: vogliamo lavorare, vivere. Le persone devono andare al ristorante per rilassarsi, sentirsi tranquille e protette, senza pensare a nulla per 2-3 ore».
L’attività, nel tempio culinario di Concesio, è ripresa alla grande: «Non abbiamo mai lavorato come adesso, sono molto soddisfatto. Unica pecca: la difficoltà, diciamo pure l’impossibilità, di trovare personale». Ben venga il Green pass anche per Alberto Gipponi di Dina «se ci permetterà di lavorare con continuità». Come Léveillé anche lo chef-filosofo di Gussago osserva che nel settore «c’è grande affluenza». Alessandro Genzano, che in città guida La Torre, Alfiere (ristorante aperto da poco e con soli tavoli al coperto) e Alma, fa un passo in più: «Accettiamo il Green pass se serve a incentivare i vaccini. Certo, sarà un po’ macchinoso verificare ogni volta, ma ci atterremo alle disposizioni».
Dalla città ai paesaggi bucolici la certificazione verde vede a favore anche gli agriturismi: «Quei dieci secondi per scannerizzare il Qr code non ci cambieranno la vita - osserva Gianluigi Vimercati, referente lombardo del settore per Confagricoltura e titolare de Al Rocol di Ome -. Noi ci sobbarchiamo l’onere di controllare, ma la sanzione dovrebbe essere in capo solo al cittadino.
Ad ogni modo siamo disponibili a fare anche questo sforzo pur di rimanere aperti». Storce invece il naso Iginio Massari: «Perché devo dire alla gente che mi porta soldi di non sedersi? Perché viene scaricato su baristi e ristoratori un potere poliziesco che non hanno e che competerebbe ad altri? Ci sono troppi controsensi». Sulla stessa lunghezza d’onda ci sono Sara Marini (Osteria dell’Orologio di Salò) e Marco Bezzi (titolare del ristorante San Marco di Ponte di Legno e presidente di Ristolombardia). Lei non se la sente di «fare il vigile: c’è il diritto alla privacy. Si va sempre a colpire la nostra categoria». Lui considera questo obbligo «un’assurdità: siamo ristoratori non carabinieri. Qui è piena stagione, come si fa a controllare? Fuori stamattina c’erano 8 gradi: chi non ha il Green pass mangia all’aperto?».
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