Roman: «Telefonate di terrore dai miei amici che sono a Kiev»

Radaelli Zarytskyy, a Brescia da quando ha 11 anni, racconta le reazioni dei suoi connazionali
LA TELEFONATA: "A KIEV E' IL CAOS"
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Sono le sette del mattino, quando a casa di Roman Radaelli Zarytskyy squilla il telefono. Lui, che vive in centro a Brescia con i suoi genitori da quando era un bambino di 11 anni, oggi ne ha 33. Mercoledì notte non ha chiuso occhio: la telefonata che arriva dall’Ucraina, sua terra natale che ancora ospita i suoi zii, il resto della famiglia e tantissimi amici, di certo non lo sveglia. Semmai lo scuote dal torpore in cui annaspa da ore, da quando il conflitto armato con la Russia è diventato realtà.

Sta leggendo a pugni stretti gli aggiornamenti in tempo reale, sui siti di news e sui canali social, quando la suoneria del cellulare lo richiama al presente. «Era un mio amico, sconvolto - ci racconta -. Mi ha raccontato cosa stava vivendo. Il suo tono era così agitato che mi è sembrato di essere lì: mi è venuta la pelle d’oca ovunque».

Ieri mattina, gli amici di Roman - che è nato a Leopoli - gli hanno spiegato cosa sta succedendo a Kiev, ormai nel caos. «Hanno visto i missili e il fumo, in queste ore assistono ai bombardamenti dalle finestre di casa. Gli aeroporti che sono stati bombardati non sono troppo distanti dalla città: basta abitare in un grattacielo per affacciarsi e vedere tutto. E dev’essere spaventoso».

«Non devono scappare, è pericoloso»

Roman qui a Brescia si sente al sicuro, ma il pensiero fisso è per i suoi connazionali, che si stanno adoperando con ogni mezzo per fuggire via terra, a bordo di automobili che si mettono in colonna per avvicinarsi il più possibile ai Paesi confinanti che appartengono all’Unione Europea.Sono migliaia di disperati, con la vita rinchiusa in valigie e borsoni, che pregano di poter diventare al più presto profughi.

Mentre osserva le loro immagini scorrere sullo schermo, Roman dice una cosa che ci gela: «Io se fossi in loro non scapperei. Assolutamente no». Respira a fondo, si guarda i palmi delle mani e poi ci spiega: «Tutti stanno cercando di uscire dai confini, sono a migliaia. È una grande fuga collettiva, ma non è la scelta migliore. Ai confini, infatti, gli uomini potrebbero essere fermati, loro sono quelli che rischiano di più. Alla frontiera il Governo ucraino può chiedere loro di arruolarsi e andare in guerra. Non si può dire di no». L’alternativa allora qual è? «Io, se fossi a Kiev, mi chiuderei in casa. E pregherei».

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