Preparavano un attentato contro un pentito di mafia: sette a processo

Tra i coinvolti c’era anche il detenuto che si è tolto la vita in cella a Canton Mombello dopo il rigetto dei domiciliari
Il tribunale di Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Intercettazioni telefoniche, appostamenti e poi le ammissioni dei collaboratori di giustizia. Che hanno fatto finire in carcere anche chi, dopo 52 giorni, non ha retto alla detenzione e si è tolto la vita.

C’è tutto questo nelle carte della richiesta di rinvio a giudizio a carico di sette persone accusate di ricettazione e detenzione di armi da guerra che, per chi indaga, il gruppo avrebbe voluto utilizzare per uccidere un ex componente della cosca ’ndranghetista Crea, che si era dissociato dopo aver commesso un duplice omicidio nel 1992, e che è residente a Canale d’Agordo, in provincia di Belluno.

Gli accusati

Il prossimo 27 settembre davanti al gup Andrea Guerrerio compariranno Philip Spinel, Massimiliano Cannatella, guardia giurata già in carcere per aver fatto parte del gruppo che voleva assaltare a marzo il caveau della Mondialpol a Calcinatello, Gianenrico Formosa, Vincenzo Larosa, Giuseppe Zappia, Francesco Candiloro, proprietario di un laboratorio di pasticceria in città e Michelangelo Tripodi. Questi ultimi due sono accusati anche dalla procura di Ancona di essere i responsabili dell’omicidio di Marcello Bruzzese, fratello del collaboratore di giustizia Girolamo, freddato con 20 colpi di pistola il giorno di Natale del 2018 a Pesaro.

Il decreto di fissazione dell’udienza preliminare, firmato il 29 luglio dal gip di Brescia, era stato notificato anche al legale del 47enne di Cerignola (in provincia di Foggia) che lunedì si è tolto la vita in carcere a Canton Mombello. Arrestato il 10 giugno, 48 ore prima del gesto estremo aveva saputo del rigetto da parte del tribunale della concessione dei domiciliari chiesti dal suo avvocato. Padre di quattro figli, in cella per detenzione di armi con l’aggravante mafiosa come gli altri coindagati per, secondo le indagini, aver agevolato clan della ’ndrangheta, si è impiccato mentre era in isolamento Covid.

Il pentito

In carcere ci era finito dopo le accuse di uno dei sette che saranno in aula a fine settembre e diventato collaboratore di giustizia. Non l’unico del gruppo ad aver fatto la scelta di pentirsi. Un altro dei coinvolti infatti nell’interrogatorio del 30 novembre scorso, un mese e mezzo dopo l’arresto, aveva deciso di svuotare il sacco. Ora è sotto protezione dopo una vita segnata «dal maneggio gravemente disinvolto di armi e condotte violente, tali da accrescere sensibilmente la sua pericolosità sociale».

«Ho capito che le mie priorità sono mio figlio e la mia famiglia. Desidero chiudere i conti con l’ambiente criminale» ha fatto mettere a verbale per poi raccontare nel dettaglio il piano per eliminare il pentito che viveva in Veneto, la gestione di bombe a mano di provenienza jugoslava e pistole poi trovate dagli inquirenti e che sarebbero servite per commettere l’omicidio - poi non realizzato per una serie di errori - che, scrive il pm Teodoro Catananti, «doveva essere commesso al fine di ribadire e rafforzare il prestigio criminale ed il potere di controllo del territorio di riferimento da parte della cosca Crea ed il vincolo di fedeltà tra i suoi associati».

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