Perinetti: «Lo strazio di mia figlia, morta per anoressia. Ai genitori servono strumenti»

Il dirigente calcistico ex Brescia Calcio parla del suo lutto, nei giorni in cui si discute del taglio dei fondi per i disturbi alimentari
Giorgio Perinetti, ex dirigente del Brescia Calcio - Foto New Reporter Nicoli © www.giornaledibrescia.it
Giorgio Perinetti, ex dirigente del Brescia Calcio - Foto New Reporter Nicoli © www.giornaledibrescia.it
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«Quando avrei potuto aiutarla lei non accettava di farsi aiutare e quando lei lo ha accettato era ormai troppo tardi: per lei non potevo fare più nulla. Il senso di impotenza che ti assale è micidiale e da genitore, per quanto io abbia fatto non posso perdonarmi perché pensi sempre a quel che non hai fatto o a quel che avresti potuto fare diversamente». Non sono passati nemmeno due mesi - era il 30 novembre scorso - da quando il dirigente calcistico di lungo corso Giorgio Perinetti ora all’Avellino («il lavoro mi sta aiutando tantissimo») e un fresco passato al Brescia, ha visto spegnersi in un letto d’ospedale la figlia di 34 anni Emanuela. Era arrivata a pesare 33 kg, inghiottita da un abisso personale che ancora oggi per papà e la sorella Chiara non trova spiegazione.

Direttore, che ricordo è oggi Emanuela?

«Non è un ricordo, è presenza. Le parlo tutte le notti. Ma mia figlia mi manca e mi mancano i nostri momenti più intimi come gli incontri a Milano per colazione, le telefonate quotidiane. Delle mie due figlie lei era quella più espansiva nei miei confronti, sempre attenta a come stessi, si raccomandava con tutti che mi riguardassi e al di là delle affinità caratteriali, per via dei nostri lavori in ambito calcistico ci confrontavamo molto anche sulle idee. Tutto questo mi manca enormemente».

Ogni volta che lei descrive Emanuela lo fa raccontando di una ragazza solare, socievole, dolce brillante, estremamente benvoluta, senza problemi economici, senza pene d’amore...

«Era l’antitesi della tristezza, aveva anche un lavoro molto gratificante. A testimonianza che certe malattie possono colpire chiunque. Era anche una ragazza alta e slanciata per cui non c’era nemmeno un tipo di problema fisico. Aveva sì qualche disagio legato a un linfedema alle gambe non risolvibile da un punto di vista clinico che la costringeva a pantaloni e gonne lunghe, ma tutto sommato ci conviveva e non può essere quella la spiegazione. Certo, aveva sofferto moltissimo la morte prematura della madre pochi anni fa... ma nel complesso non riusciamo a capire».

Lei ricorda come iniziò il vostro calvario?

«Ebbe qualche problema quando era adolescente. Lei, la sorella e mia moglie stavano a Palermo mentre io lavoravo a Siena. Mia moglie mi chiamò preoccupata riferendomi che Manu non mangiava... La portai da uno specialista a Siena e dopo un incontro ricominciò a mangiare da subito e tutto filò liscio».

Fino a quando?

«Febbraio dello scorso anno. Iniziò a dimagrire visibilmente, ma ci raccontò di avere un problemino di salute e che si stava curando. Era molto convincente. Fino a che la sorella che fisicamente l’aveva più sott’occhio del sottoscritto non iniziò ad avere dei dubbi. Che vennero anche a me quando mi comunicò che sarebbe andata a Monte Carlo per sottoporsi a un intervento salvo poi dirmi che quell’intervento era stato posticipato di 6 mesi. Iniziai a insospettirmi e a indagare. Per scoprire che a Monte Carlo era andata per un evento lavorativo. Da lì iniziai a sentire tante persone e il suo castello di incredibili bugie crollò a Ferragosto, eravamo a Napoli».

Era anoressia...

«Era anoressia. Ne parlavamo, lei non spiegava cosa la attanagliasse. Io volevo che lei si ricoverasse perché lo psichiatra lo riteneva necessario. Lei diceva che si sarebbe curata, ma a modo suo. Questa sua non accettazione fu il primo strazio. Le dicevo anche cose come "mamma non mi perdonerebbe se lasciassi che tu vada via". Il secondo strazio fu quando infine lei venne ricoverata dopo una caduta in casa avvenuta perché ormai era allo stremo. Venne ricoverata: mi malediva e malediva i medici, voleva essere dimessa. Fino a che non capì che la vita le stava davvero scivolando via e allora a quella vita si aggrappò prendendo a mangiare con voracità quel che poteva. Ma ormai era tardi: il quadro era troppo compromesso. Non sono però mai stato arrabbiato con lei: cercavo solo di capirla, di starle accanto con tutto l’affetto che potevo. Non le ho mai rinfacciato nemmeno le tante bugie. Non sono il miglior esempio visto che mia figlia non c’è più, ma ai genitori che vivono l’incubo dico di non essere accusatori, ma solo amorevoli».

Le malattie da disturbi alimentari dilagano, i fondi per curarli vengono tagliati (anche se il ministro Schillaci ha annunciato ieri lo stanziamento di 10 milioni di euro per il 2024)

«Un non senso totale visti quelli che sono i dati. Inoltre, fondi a parte, dico che per i genitori ci vorrebbero anche strumenti normativi a supporto. Io non potevo obbligare mia figlia a curarsi perché maggiorenne e l’unica via sarebbe stato il Tso che oltre a marchiare la persona che lo subisce, è anche burocraticamente complicato da ottenere. Io ci avevo pensato, ma non c’erano i tempi. Ci vuole un altro tipo di sostegno».

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