Paraga, ecco perché 20 anni di reclusione e non l'ergastolo

Rese note le motivazioni della sentenza che ha ridotto la pena dall'ergastolo a 20 anni per l'ex comandante Paraga
CORTE D'ASSISE D'APPELLO: "PARAGA NON SI E' MAI PENTITO"
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«Il limite massimo trentennale della pena della reclusione vale in ogni caso in cui venga riconosciuta la continuazione dei reati». Per questo, per un  calcolo codice alla mano, che la Corte d’assise d’appello di Brescia ha ridotto dall’ergastolo a vent’anni, la condanna nei confronti di Hanefjia Prijic, il comandante Paraga, che a Gornji Vakuf il 29 maggio 1993 diede l’ordine di uccidere Sergio Lana, Fabio Moreni e Guido Puletti, componenti di un convoglio umanitario partito da Brescia per portare aiuti in una zona di guerra.

«E’ indiscutibile la responsabilità penale dell’imputato» scrive la corte d’assise d’appello nelle 72 pagine di motivazioni della sentenza dello scorso 29 settembre. Per i giudici di secondo grado «Paraga - oggi in carcere - poteva limitarsi a depredare il carico del camion umanitario liberando i prigionieri e invece scelse l’eliminazione fisica dei sequestrati portandoli in una zona dove mai sarebbero stati rinvenuti i loro corpi se due del convoglio non fossero scampati ai tiri di kalashnikov».

Il riferimento è ad Agostino Zanotti e Cristian Penocchio, sopravvissuti alla strage e diventati testimoni chiavi. La difesa di Paraga, l’avvocato Chantal Frigerio, aveva sostenuto in aula la tesi che il gruppo bresciano fosse stato preso di mira perché, anche inconsapevolmente, stava trasportando armi in un territorio in conflitto come quello dell’ex Jugoslavia all’epoca dei fatti. «Osservazioni che si nutrono di sospetti, informazioni attinte da fonti non identificate» ha scritto la Corte d’assise d’appello che si sofferma poi sulla personalità dell’imputato: «Il lungo periodo di tempo dal 1993 ad oggi non è servito a Paraga per maturare alcuna reale resipiscenza o comunque una presa d’atto dell’enormità di quanto commesso avendo egli preferito ancora arroccarsi in posizioni difensive francamente insostenibili».   

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