LA STORIA
Medico di famiglia travolta dalla burocrazia: «Mi dimetto»

Luisa Olivetti racconta la sua scelta molto sofferta - © www.giornaledibrescia.it
Occhi tristi, quasi spenti, a riflettere un tormento che va avanti da un anno, ma che ha radici più profonde. Luisa Olivetti, dopo dodici anni di ambulatorio, ha deciso di lasciare. Non sarà più medico di Medicina generale convenzionata con il Servizio sanitario. «Ho pensato a lungo ad una scelta che, inizialmente, vedevo come sconfitta professionale. Mi sembrava di tradire i miei pazienti. Però mi sono resa conto che questo non è più il mio lavoro».
Luisa, quarantenne, ci credeva. Fin da piccola ha respirato l’aria di quell’ambiente quasi sacerdotale in cui si muoveva il medico condotto di un piccolo paese della Bassa Bresciana. Era affascinata dal lavoro del padre e, dopo la laurea, superata una iniziale infatuazione per l’Oculistica, ha preferito il rapporto diretto con le persone sul territorio. Un legame, però, che si è sempre più assottigliato negli anni, al punto che oggi Luisa conferma che il suo impegno è al 70% assorbito dalla burocrazia.
La deriva della professione
«Già mio padre nel 2009 si lamentava per la deriva che stava prendendo la nostra professione - continua -. Anche le ragioni del mio malessere sono antecedenti all’inizio della pandemia. Intanto, malgrado avessi bloccato il numero di pazienti a 1.300, oggi ne ho 1.580 e in periodo di pandemia è oltremodo impegnativo perché, se prima gli assistiti che frequentavano spesso gli ambulatori erano circa il 20% del totale, ora per un colpo di tosse tutti si precipitano dal medico. Poi, la burocrazia che si riversa su di noi anche per questioni che non abbiamo gestito dall’inizio, come la campagna vaccinale, con un portale regionale che un giorno funziona ed uno no. Insostenibile. Da aggiungere il numero di ragazzini positivi che si negativizzano e che hanno l’obbligo di presentare la certificazione medica con nulla osta per poter ritornare a scuola: le mamme telefonano in continuazione, e ne hanno diritto, ma io riesco a rispondere a tre su dieci perché in una giornata le telefonate complessive arrivano fino a 120».
Il «calvario»
Esasperazione
La dottoressa Olivetti è esasperata, anche se le è stato di conforto l’affetto dei pazienti quando ha comunicato che avrebbe lasciato. Ancora: «Mio padre è rimasto scioccato: a lui avevo confessato la mia stanchezza, anche negli anni scorsi. Non pensava che avrei scelto di lasciare. Mi ha detto: sei stata coraggiosa. Io, però, sto vivendo questo periodo come se stessi divorziando, lacerata e con un peso enorme sul cuore. Mi spiace molto». Luisa si è dimessa lo scorso ottobre e terminerà il servizio pubblico convenzionato a fine gennaio. La spinta decisiva è arrivata qualche settimana prima delle dimissioni. «Avevo fatto alcuni errori clinici, poi riparati, che mi hanno tolto il sonno per una settimana. Mi sono sentita inadeguata e sapere che anche altri colleghi vivono gli stessi dilemmi di certo non mi consola. Mi sono spaventata per non avere quella lucidità clinica che mi mette al riparo dagli errori. Quello del medico non è un lavoro che puoi esercitare con l’ansia di sbagliare».
Luisa racconta, seduta ancora per pochi giorni alla scrivania del suo studio nel centro di Brescia, alle spalle un quadro astratto. Non è più vita. «Ci sono stati giorni in cui parlavo al telefono con un paziente e, contestualmente, scrivevo una mail ad un altro. È vita questa? Non riusciamo ad avere tempo per noi e per la nostra famiglia, mentre da fuori ci vedono come lavativi. Del resto, le persone vogliono risposte pratiche e si arrabbiano con noi se non le hanno, perché ci vedono come il sistema, mentre anche noi siamo vittime di un sistema schiacciante e irrazionale. La speranza? Si potrà migliorare, per noi e per i pazienti, solo se la medicina di famiglia si reimposta dalla base. Intanto - conclude - mi fermo qualche mese poi, finalmente, libera e spogliata dalla burocrazia, potrò riprendere a curare i malati».
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