L’incognita del medico, diviso tra ambulatori e Case di Comunità

«Tutti i cittadini residenti nel territorio dell’Agenzia di tutela della Salute di Brescia hanno un medico di riferimento per l’assistenza. Ad oggi, su un totale di oltre 700 medici, 36 sono gli incarichi provvisori e in 6 ambiti si è dovuto ricorrere all’aumento del massimale dei titolari già inseriti nella convenzione con Ats».
Scorrendo il lungo elenco degli ambiti carenti pubblicato sul sito di Regione Lombardia, in effetti manca un medico a Capo di Ponte, in Alta Vacamonica che ricopra il ruolo nell’ambulatorio vincolato del paese. Non sempre vicino a casa. Avere «un medico di riferimento per l’assistenza», tuttavia, non significa avere un medico, o un pediatra di libera scelta, che abbiano l’ambulatorio nello stesso paese in cui è residente l’assistito.
«Se un medico di medicina generale va in pensione ed ha esercitato per decenni la professione in un determinato paese, non necessariamente il medico che lo sostituirà dovrà avere l’ambulatorio nello stesso paese - spiega Claudio Sileo, direttore generale Ats Brescia -. La convenzione nazionale ragione per ambiti, non per comuni. Dunque, nessun obbligo da parte del professionista convenzionato con il Servizio sanitario ad aprire l’ambulatorio nel paese, ma nell’ambito. Nel Bresciano ci sono una ventina di situazioni in cui, una volta chiuso, l’ambulatorio del vecchio medico non è più stato riaperto».Il territorio di competenza di Ats Brescia (circa un milione 162mila abitanti) è suddiviso in dodici ambiti. In ognuno di essi (un esempio, sono sedici i comuni dell’ambito della Bassa bresciana occidentale) lavorano più medici che hanno come obbligo, in base alla convenzione nazionale, di garantire l’assistenza nel territorio dell’ambito, stabilendo la sede dell’ambulatorio in uno dei Comuni che dell’ambito fanno parte. Evidente che, in una fase in cui è significativa la carenza di medici di famiglia, e di medici in generale, ciascuno di loro ha maggiori opportunità di scegliere il luogo che preferisce.
Come abbiamo più volte documentato, la decisione di un medico di spostare di sede un vecchio ambulatorio comporta disagi anche rilevanti alla popolazione costretta a raggiungere un altro paese se ha problemi di salute. Il futuro. In questo difficile equilibrio si inseriscono la legge di riforma della sanità lombarda approvata lo scorso novembre in Consiglio regionale e in vigore da inizio 2022 e le indicazioni del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che prevedono l’apertura di Case e Ospedali di comunità con l’obiettivo di garantire un’assistenza più capillare sul territorio. Assistenza della quale i medici di medicina generale sono riferimento «primario», appunto.
Con la nuova legge alle Ats spettano in particolare il coordinamento e la sottoscrizione dell’accordo con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Delle Asst, le Aziende sociosanitarie territoriali fanno parte i distretti e tutte le attività erogative. Saranno i Distretti e i dipartimenti territoriali a gestire, entro fine anno, le cure primarie, la salute mentale e dipendenze e la prevenzione. La gestione delle Case della Comunità (le prime due ad iniziare il loro percorso nel Bresciano sono quella di Nave e di Leno) «può essere affidata ai medici di medicina generale anche riuniti in cooperativa».
Che accadrà?
Chiuderanno tutti gli ambulatori per permettere ai medici di famiglia di curare e assistere nelle Case della Comunità? Non c’è ancora una risposta chiara a queste domande ma aiuta a dipanare la matassa sul futuro medico di famiglia la lettura della proposta elaborata da Regioni e ministero della Salute presentata ai sindacati di categoria. Il nuovo medico. Un atto di indirizzo sul quale deve essere raggiunta un’intesa e che presenta molte novità. Intanto, i medici di medicina generale continueranno ad essere liberi professionisti con un rapporto di lavoro convenzionato a tempo pieno con il Servizio sanitario nazionale, su scelta fiduciaria del paziente.
Dunque, un rapporto di lavoro sempre convenzionato ma con un impegno orario fissato a 38 ore settimanali di cui 20 da svolgere negli studi e 18 in attività sanitarie promosse dal Distretto, di cui almeno 6 nelle Case della Comunità. Novità anche sulla retribuzione: il 70% sarà calcolato su base capitaria (cioè in base al numero di assistiti) ed il 30% sarà legato ad obiettivi definiti dal Distretto.
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