Omicidio di Sana Cheema, il padre e il fratello processati anche a Brescia

Secondo l’accusa fu uccisa perché rifiutò il matrimonio combinato. In aula il 20 dicembre
Sana Cheema - © www.giornaledibrescia.it
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Saranno a processo. Se ci saranno fisicamente o meno è tutto da vedere. Quello che è sicuro è che dovranno rispondere della più pesante delle accuse, l’omicidio di una figlia, l’omicidio di una sorella. Mustafa e Adnan Cheema, il padre e il fratello di Sana, la 25enne italo pakistana di casa a Fiumicello che secondo l’accusa fu uccisa il 19 aprile di quattro anni fa nella terra dei genitori perché voleva sottrarsi ad un matrimonio combinato dalla famiglia, saranno davanti ai giudici della Corte d’assise il prossimo 20 dicembre.

A fissare la data del dibattimento è stato ieri il giudice dell’udienza preliminare Matteo Grimaldi, che ha chiuso l’udienza preliminare aperta un anno fa e rinviata per un difetto di notifica della richiesta di rinvio a giudizio. Lo ha fatto dopo aver respinto la richiesta dell’avvocato degli imputati, Klodjan Kolaj, di acquisire agli atti la sentenza con la quale nel febbraio del 2019 il tribunale di Gujrat, città del Pakistan nella quale Sana per l’accusa è stata uccisa, aveva assolto i suoi assistiti. Il legale mirava ad un «ne bis in idem», confidava nel divieto di un nuovo processo per lo stesso fatto, che il giudice non ha rilevato.

L’omicidio

Il padre e il fratello della giovane uccisa a poche ore dal volo che dal Pakistan l’avrebbe riportata a Brescia, ma soprattutto a migliaia di chilometri di distanza da quel marito che le aveva procurato la famiglia e da quel matrimonio al quale lei non voleva piegarsi, dovranno rispondere di «aver cagionato la morte della ragazza per asfissia meccanica violenta mediante strangolamento» e per aver «annullato i diritti politici sociali fondamentali della vittima che è stata uccisa per aver ripetutamente rifiutato il matrimonio deciso dai congiunti». I due devono rispondere di aver premeditato l’omicidio di Sana, Mustafa Ghulam Cheema anche di maltrattamenti in famiglia.

I maltrattamenti

Il 53enne papà di Sana - stando alla ricostruzione dell’allora procuratore generale Pier Luigi Maria Dell’Osso, che aveva avocato a sé le indagini sulla morte della giovane - aveva più volte rimproverato la figlia per il suo modo di vivere in contrasto con le tradizioni della famiglia e della casta. Era arrivato anche a picchiarla con un bastone, l’aveva convinta con un trucco ad andare in Pakistan e una volta là le aveva sottratto il passaporto per impedirle di tornare a casa. L’accusa aveva anche ricostruito i momenti dell’omicidio: secondo il procuratore generale fu il padre a strangolare Sana con il tradizionale copricapo, mentre il fratello la teneva ferma.

In aula in Pakistan i due si difesero sostenendo che la donna era stata stronacata da cause naturali. «Mangiava poco, non stava bene da giorni, è morta per un malore» dissero Mustafa e Adnan Cheema poi assolti per insufficienza di prove. Eppure lei li temeva. In un messaggio scritto ad un’amica, inviato pochi giorni prima di morire, aveva manifestato apertamente tutte le sue paure e puntato il dito proprio contro di loro: «Mio padre mi ha portato via il passaporto, vediamo come fare. Ma ho paura».

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