Occupati-pensionati, equilibrio precario ma Brescia è ancora tra le migliori d’Italia

Il punto di non ritorno per Brescia non è arrivato, ma la soglia-limite in fondo non è così lontana. E anche qui, nel cuore pulsante del tessuto produttivo italiano, gli effetti del progressivo invecchiamento della società cominciano ad intravedersi.
L’ultimo prospetto capace di far saltare dalla sedia arriva dai dati diffusi da un’analisi del Sole 24 Ore che mettono in rapporto occupati e pensionati in oltre cento province italiane. E se nella classifica Reggio Calabria è la maglia nera con 67 lavoratori attivi ogni 100 pensionati, nel Bresciano il rapporto diventa di 135 a 100. Trentacinque: è questo il numero che ad oggi permette ancora di leggere il segno positivo nell’analisi in salsa bresciana.
Non si tratta certo di uno dei dati peggiori (la media italiana è infatti di 111 ogni 100 pensionati), ma le due curve del rapporto tendono sempre più ad assottigliarsi.
Dati bresciani
Secondo l’Osservatorio dell’Inps di Brescia nel 2023 in provincia sono state erogate 357.702 pensioni, 220.552 delle quali di vecchiaia, con un importo medio di 1.120 euro a persona.
Quasi 47mila sono di invalidità, mentre oltre 73mila sono dedicate ai superstiti (la cosiddetta pensione di reversibilità, in caso di decesso del pensionato).
Di contro, i lavoratori attivi dalla Valcamonica alla Bassa si attestano quindi sulle 483mila unità. Il «cuscinetto» (oggi arrivato a poco più di 125mila unità di differenza) prima di arrivare alla perfetta parità - e al punto di rottura - continua insomma a ridursi e i prossimi anni potrebbero non promettere bene.
L’indice di senilità e i numeri delle pensioni erogate sono d’altronde due binari che avanzano parallelamente nella storia del Paese e di tutti i sistemi del welfare: basta dare un’occhiata ai rapporti dell’Istat, che certificano che nel 2022 solo nella città della Loggia il 46,6% della popolazione ha più di 65 anni. È stata ormai sfondata quota 48mila «anziani», a fronte di quasi 196mila abitanti.
Il confronto
Nel resto d’Italia le cose vanno molto peggio: nel 37% delle province italiane i pensionati hanno già superato i lavoratori attivi e sono in totale 39 quelle in cui è stata addirittura sfondata quella soglia della parità tra persone in pensione e persone occupate, soprattutto al sud e nelle isole.
Oltre al capoluogo calabrese, a Messina il rapporto è 72 ogni 100, a Foggia 88, a Napoli 96. Tra le poche città del Meridione in controtendenza ci sono Bari, con 102 occupati ogni 100 pensionati, Matera (105) e Barletta (111).
Al nord, invece, Genova e Torino superano di poco la soglia della parità. A Roma e Milano ogni 100 pensionati ci sono 133 occupati. Il dato migliore (anche in questa graduatoria) si registra a Bolzano, che ha 162 lavoratori attivi ogni 100 pensionati. A mettere benzina sul fuoco recentemente è stato lo stesso presidente dell’Inps Pasquale Tridico. In un confronto al ministero del Lavoro ad inizio anno con Governo e parti sociali per la riforma delle pensioni ha detto: «Il quadro al 2029 non è positivo, il rapporto tra lavoratori e pensionati passerà dall’attuale 1,4 a 1,3 per poi arrivare nel 2050 a uno a uno».
Per questo motivo qualsiasi scelta di anticipo rispetto all’età di vecchiaia dovrà tenere conto dell’andamento dell’aspettativa di vita (diminuita con l’emergenza sanitaria, ma in ripresa) ed essere legata ai contributi versati. Anche i prepensionamenti, infatti, incidono sulla tenuta del sistema previdenziale. Un’indagine del Centro studi itinerari previdenziali ha rivelato che la stabilità «è a rischio per le troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero».
A fronte di questo scenario desolante ciò che in tanti pensano ma in pochi pronunciano è l’interrogativo degli interrogativi: quanto ancora potrà durare? E quanto ancora potrà reggere il sistema? Forse un ventennio, poi la discesa verso il segno meno nel rapporto tra pensionati e lavoratori diventerà ancora più rapida.
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