Morta dopo l'asportazione del neo: «Se il medico l’avesse curata, la donna sarebbe guarita»

Il 16 aprile 2025 la Corte d’assise d’appello di Milano ha assolto il medico bresciano Paolo Oneda perché il fatto non sussiste.
Non è stato un omicidio volontario, come ipotizzato dall’accusa, ma il medico con le sue omissioni ha portato al decesso della paziente. «Non ci sono dubbi sulle sue responsabilità a titolo di colpa perché Oneda ha tenuto una condotta incompatibile con il ruolo di medico e con il fine ultimo del ruolo assunto dal momento che, perfettamente a conoscenza della situazione pregiudizievole per la salute della Repetto, aveva l’obbligo giuridico di attivarsi per impedire la realizzazione dell’evento lesivo».
Le motivazioni
Lo scrive il giudice del tribunale di Genova nelle 69 pagine di motivazioni della sentenza di condanna a tre anni e quattro mesi per il «santone» Paolo Bendinelli e per il medico bresciano Paolo Oneda. Ritenuti responsabili della morte di Roberta Repetto «devota» del centro olistico Anidra di Borzonasca (Genova), che era gestito dal santone e frequentato dal medico, è morta per un tumore a mesi di distanza dall’asportazione di un neo praticata da Oneda in un ambiente non ospedalizzato, sul tavolo in una delle stanze del centro olistico, senza anestesia e senza un successivo esame istologico.
Condannato il medico
«Oneda con coscienza e volontà ha posto in essere un intervento al di fuori di ogni protocollo medico senza rispettare le minime necessarie garanzie per la salute della paziente» scrive il giudice. «L’analisi dei periti - viene ricordato in sentenza - porta a ritenere inequivocabilmente che se Roberta Repetto fosse stata curata nei diversi stadi della malattia sarebbe potuta guarire o in ogni caso avrebbe avuto un maggiore periodo di sopravvivenza. Paolo Oneda, in qualità di chirurgo esperto, avrebbe dovuto realizzare l’intervento nei tempi e nei modi dovuti e sottoporre il nevo all’esame istologico» spiega la sentenza di primo grado.
«Il medico - prosegue il gup - era perfettamente a conoscenza delle condizioni di salute della donna e del suo costante aggravarsi ma - e qui viene spiegato perché non è stato un omicidio volontario ma colposo - non vi sono riscontri in atti circa il fatto che l’imputato si sia rappresentato la morte di Roberta Repetto come probabile evento successivo all’iniziale condotta di asportazione del neo. Infatti, seppur vi sia stato un’incredibile sottovalutazione del rischio da parte dell’imputato nonostante ripetuti segnali provenienti dalla Repetto circa le sue condizioni di salute, i sintomi che la stessa mostrava non potevano in alcun modo far pensare che la stessa sarebbe deceduta in conseguenza dell’asportazione del nevo anche in considerazione del fatto che Roberta fino al momento del ricovero in ospedale, ha continuato regolarmente tutte le molteplici attività nelle quali era impegnata.
Assolta la psicologa
Nell’ambito dello stesso processo è stata assolta invece Paola Dora, psicologa bresciana e fidanzata di Oneda. Era accusata anche lei di omicidio volontario. «È vero che era perfettamente a conoscenza della situazione di salute di Roberta Repetto e aveva sottovalutata la gravità, quando nel momento di massima sofferenza per la donna rafforzava il concetto di affidarsi al maestro e al metodo - a base di tisane -che insegna la sopportazione del dolore con il controllo della mente» precisano i giudici. «Ebbene, da un punto di vista oggettivo, è indiscutibile che le condotte della Dora possano avere influenzato il comportamento della Repetto, tuttavia, ciò che in questo caso manca è la sussistenza della posizione di garanzia, necessaria per integrare il reato omissivo improprio. Dora infatti non ha assunto la posizione di medico specialista che si è occupato a più riprese della donna, nè tantomeno aveva un ascendenza manipolatrice sulla stessa. Emerge inoltre in alcune mail come fosse la Repetto ad avere in qualche modo un ascendente sulla psicologa».
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